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La Bulimia Nervosa è un disturbo del comportamento alimentare caratteristico dei paesi occidentali. In Italia, la sua prevalenza è, secondo un’indagine condotta dall’Università di Padova (Favaro, Ferraro & Santonastaso, 2003) , del 4,6%, molto più dell’anoressia che è stimata nell’ordine del 2%.

Cos’è la bulimia? (significato e definizione)

La bulimia è caratterizzata da abbuffate periodiche cui seguono vomito e/o comportamenti cosiddetti di eliminazione tesi a evitare aumenti di peso, come sedute intensive di ginnastica, uso di lassativi e diuretici. 

Ma immagino che tu non ti accontenti di definizioni che puoi trovare da molte parti.

Approfondiremo quindi l’argomento analizzando insieme le differenze fra bulimia e altri disturbi alimentari.

La differenza tra bulimia, anoressia e gli altri disturbi alimentari

La parola bulimia significa “fame da bue“. Il suo significato è quindi opposto a quello di anoressia che vuol dire “mancanza di fame“. Ma le parole a volte ingannano e non corrispondono propriamente ai fatti. 

Una ragazza anoressica, come abbiamo già avuto modo di approfondire in una articolo sull’anoressia dedicato, è lungi dal non sentire la fame. Piuttosto, è impegnata in una lotta incessante contro il desiderio di mangiare, che nega a parole, in preda al terrore di ingrassare. 

Ciò che accomuna  bulimia e anoressia è il timore delle pazienti che, iniziando a mangiare, non sarebbero capaci di fermarsi più. L’anoressica vince questa battaglia contro la fame, la bulimica la perde e così inizia a mangiare e non si ferma più. Questa è, in estrema sintesi, la differenza forse maggiore, certamente non l’unica, tra anoressia restrittiva e bulimia. 

Anoressia e bulimia  debbono essere considerate  come gli estremi di un continuum che ammette numerose varianti e forme intermedie, più che come due categorie distinte. La facilità con cui una condizione può subentrare all’altra ne è la dimostrazione. Accade, infatti, frequentemente che l’anoressia restrittiva si trasformi in bulimia. Una percentuale davvero piccola di casi ha un viraggio dalla bulimia all’anoressia.

A volte questo passaggio avviene passando per una fase intermedia, detta anoressia con condotte di eliminazione. In questi casi, sono soddisfatti i criteri dell’anoressia nervosa ma la riduzione dell’apporto alimentare è incostante e si associa al vomito come ulteriore mezzo di controllo sul peso.

In  altri altri casi, la bulimia non si accompagna al vomito autoindotto ma all’obesità, che alle periodiche abbuffate consegue inevitabilmente. Nella terminologia psichiatrica si parla allora di disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder).

Talvolta, l’ingestione di alimenti in eccesso avviene nelle ore notturne, dopo la cena. La tendenza attuale alla proliferazione delle distinzioni nosografiche ne ha fatto una categoria a se stante – la cosiddetta Night Eating Syndrome . Si tratta di una  distinzione ulteriore  rifiutata da molti addetti ai lavori. Anche noi non sentiamo proprio l’esigenza di questa ulteriore sindrome. 

Ciò che accomuna queste diverse condizioni è la connessione sul piano psicologico tra alimentazione, aspetto esteriore e stima di sé. 

Ciò che differenzia i diversi quadri clinici e sintomatologici è il modo in cui questa tematica viene gestita dal soggetto e dal suo ambiente.  

L’anoressia restrittiva è associata ad una lotta vittoriosa contro il corpo e le sue esigenze, e non stupisce che l’erotismo e la sessualità non abbiano grande parte nella vita di queste pazienti. 

L’opposto vale per le ragazze bulimiche, che sono di solito sessualmente attive e non raramente hanno subito molestie o abusi sessuali in età precoce. Non ti stupirai che anche la sessualità, come l’alimentarsi, sia spesso vissuta come una svalutazione di sé.

Bulimia: quali sono i sintomi?

Non devi pensare che chi ha una “fame da bue” sia semplicemente una persona che divora abitualmente grandi quantità di cibo. Le “abbuffate” periodiche che, pur con molte varianti caratterizzano questa condizione, richiedono una sorta di ritualizzazione.  

L’abbuffata è solitamente preceduta da una fase di preparazione e pianificazione, che inizia con la scelta e acquisto di certi tipi di cibo, in grandi quantità. Non meno importanti sono l’individuazione o la disponibilità di un luogo e momento adatti. La solitudine è condizione pressoché necessaria. La ragazza bulimica, infatti, prova vergogna per il suo disturbo e fa il possibile per nasconderlo.

Una volta iniziato a mangiare, l’impossibilità di fermarsi è contrastata solo dall’impossibilità di ingerire altro cibo. Il vomito che segue costituisce l’epilogo di questa specie di rito. Gli effetti sul piano psicologico sono sentimenti di colpa, umiliazione e disgusto verso se stessa. 

Anche se in modo meno costante, nei giorni successivi all’abbuffata subentra un periodo di restrizione alimentare più o meno severa (o altre cosiddette “condotte di eliminazione” diverse dal vomito, come ad esempio sedute di ginnastica intensiva in palestra, uso di lassativi o diuretici), che crea le condizioni per la successiva abbuffata.

Nei casi in cui la frequenza degli episodi bulimici non è eccessiva, spesso il peso si mantiene nella norma e l’aspetto esteriore non ne risente. Bulimiche a peso ideale o normale sono tutt’altro che infrequenti.

Si può parlare di Bulimia senza attacchi di vomito?

Sì, in alcune forme di bulimia le “abbuffate” sono seguite da altri comportamenti tesi ad evitare l’aumento di peso come ad esempio programmi intensivi di ginnastica

Ortensia, una giovane donna di 32 anni passava ormai da cinque anni dalla taglia 44 alla 38  senza mai vomitare. Alternava periodi di abbuffate ad altri in cui dedicava dalle cinque alle otto ore a ginnastica, corsa, nuoto e tennis. A causa di queste attività  tese ad eliminare i danni delle abbuffate, aveva abbandonato il proprio lavoro e si limitava a svolgere qualche incombenza segretariale per lo studio professionale del padre. Quando raggiungeva la taglia trentotto si sentiva molto soddisfatta di sé e diventava sessualmente attiva seducendo uomini che poi eliminava in modo drastico dalla propria vita. Queste rotture non erano dovute a comportamenti inappropriati o indesiderati messi in atto dagli amanti ma erano stati pianificati da Ortensia preventivamente. Quando raggiungeva la taglia 42 o peggio 44 si sentiva in forte disagio e non frequentava più nessuno, né amanti né amici. Anche in palestra, sui campi da tennis e nelle altre attività sportive evitava quanto più possibile contatti social finché raggiungeva almeno la taglia 40.

Il disturbo di Ortensia viene anche denominato “sindrome yo yo“. Ritroviamo comunque il ricorso compulsivo alla ginnastica e ad altre attività sportive,  spesso accompagnato da uso di lassativi, dopo abbuffate , anche in molte bulimiche che mantengono costantemente un peso ideale o normale.

Bulimia: quali sono le cause?

Meno facile è risponderti se domandi quali sono i fattori causali della bulimia. 

Le caratteristiche di questo disturbo rimandano alla cultura.

L’immagine esteriore di sé – come io penso che gli altri mi giudichino per il mio aspetto – condiziona nelle bulimiche in modo determinante il livello di autostima. 

Analogo indizio sull’importanza dei fattori culturali può essere attribuito al fatto che l’inserimento della bulimia tra i disturbi mentali è recente. Il DSM III del 1980 è, infatti, il primo manuale di psichiatria ad includere la categoria della Bulimia Nervosa. In precedenza, alterazioni dell’appetito, in eccesso come in difetto, erano considerate per lo più come sintomi all’interno dei disturbi dell’umore o di altri disturbi. 

Inoltre solo in Occidente la bulimia, come l’anoressia, ha una grande diffusione, rappresenta un problema sociale e ha dato origine a strutture e a trattamenti specifici. 

Devi sapere che descrizioni di abitudini alimentari sovrapponibili alla bulimia sono presenti nella letteratura non psichiatrica addirittura da millenni. È ben noto che nei banchetti della Roma imperiale i commensali ingerivano grandi quantità di cibo, che poi vomitavano per poter continuare a mangiare. 

La differenza, peraltro sostanziale, con la bulimia risiede nella modalità con cui questi comportamenti sono vissuti da chi li agisce e dal contesto sociale.

Chi si abbuffava nei banchetti luculliani della Roma imperiale non si appartava vergognandosene, perché quella condotta era una consuetudine conviviale socialmente approvata, quindi praticabile e praticata in pubblico. Anche il cattolicissimo re di Spagna, nonché Sacro Romano Imperatore, Carlo V d’Asburgo, sul cui impero come saprai non tramontava mai il sole, era solito indulgere a pasti pantagruelici ingurgitando il cibo senza nemmeno masticarlo, a dispetto del fatto che il peccato di gola fosse considerato dalla Chiesa Romana uno dei vizi capitali. 

La bulimia può essere ed è stata considerata prima un’attività conviviale socialmente approvata, poi un vizio e un peccato da menzionare in confessionale, per approdare solo dal 1980 in poi nel gruppo formato non da molto dei Disturbi del Comportamento Alimentare.

1. Le cause psicologiche: la famiglia gioca un ruolo importante

La cultura è certamente importante in questo disturbo. Tuttavia le cause psicologiche e familiari sono determinanti.

Tutte le ragazze e le giovani donne occidentali vivono in un contesto culturale dove l’aspetto fisico e la magrezza sono valorizzate, molte controllano l’alimentazione anche attraverso diete e attività fisica per mantenere un peso desiderabile e un aspetto piacevole. Solo una minoranza diventa bulimica. 

Come le anoressiche, le pazienti bulimiche vivono in famiglie dove secondo Ugazio (1998, 2012, 2018) prevale la semantica del potere.

Si tratta di famiglie in cui ci sono vincenti, intesi come membri della famiglia che, grazie alla loro determinazione e al loro impegno, hanno successo economico e professionale, mentre altri sono perdenti: la loro incapacità di farsi valere e incostanza li consegna alla sconfitta. In queste famiglie “il confronto con i criteri di riuscita e i conflitti competitivi che ne conseguono, guida sia le relazioni interne al nucleo, sia quelle con la parentela “(Ugazio, 2012). Conseguentemente “la lotta per la definizione della relazione è argomento costante della conversazione in queste famiglie. L’oggetto del contendere, i “contenuti” del conflitto sono di regola irrilevanti, mentre chi abbia la supremazia  (oneupmanship) è ciò che conta”(ibidem). 

Anche la bulimica, soprattutto a peso ideale, prima dell’esordio sintomatico, spesso si colloca, come la futura anoressica, o aspira a collocarsi nel polo vincente. Tuttavia il positioning delle bulimiche che precede l’esordio sintomatico è molto più vario di quello delle anoressiche.

Per le bulimiche il genitore preferito, che solitamente le disillude, è il padre, spesso in posizione vincente. La madre in queste famiglie è per lo più in posizione di inferiorità rispetto al marito. E’ questa una differenza importante con le  anoressiche per le quali il legame più importante è di regola la madre o altra figura accudente  che occupa una posizione di rilievo  in famiglia ed è determinata.

Questa configurazione relazionale dove il padre è in posizione dominante o comunque superiore rispetto alla madre sembra caratteristica soprattutto le famiglie delle bulimiche che mantengono un peso ideale.

“Tentando di mantenere il corpo in un’eterna adolescenza, le bulimiche a peso ideale, respingono l‘identificazione con la madre: loro non si lasciano andare come la loro madre, non si rassegnano di fronte alle prevaricazioni, non cedono alla propria passività, ma lottano strenuamente contro la propria debolezza e arrendevolezza” (Ugazio, 2012).

2. Bulimia e depressione: c’è un nesso tra le due?

Diverse ricerche evidenziano questo nesso. Il fatto che non raramente i casi di morte nelle pazienti bulimiche siano dovuti a suicidi sembrerebbe suggerire una connessione fra bulimia e disturbi depressivi e dell’umore.

Un’associazione forse non meno frequente è con il Disturbo Borderline di Personalità.

Infine, l’abuso di sostanze si accompagna non raramente alla Bulimia Nervosa.

Il senso di sconfitta che accompagna le “abbuffate” e la conseguente svalutazione di sé sono alla base dei vissuti depressivi o ne sono un’espressione.

Bulimia: quali sono le conseguenze?

Le conseguenze della bulimia possono essere diverse e a volte, se non curate, possono diventare anche tragiche.

1. A quali rischi e danni può portare?

I danni alla salute sono legati soprattutto alla pratica del vomito autoindotto. Qualora sia frequente e prolungata nel tempo può provocare pericolosi squilibri metabolici e elettrolitici. E’ quindi necessario il monitoraggio delle condizioni mediche, per la possibile presenza di complicanze.

2. Può portare anche alla morte?

Il rischio di mortalità connesso al disturbo non è paragonabile a quello dell’anoressia nervosa, mentre rischio di suicidio è presente in misura tutt’altro che trascurabile.

3. Storie di bulimia

Le storie cliniche delle ragazze bulimiche possono essere assai diverse.

3.1. Il caso di Lucia

Lucia, una graziosa ragazza di 17 anni, era in tutto e per tutto simile alle sue coetanee, anche per l’attenzione dedicata all’aspetto esteriore e alla linea. 

Questa particolarità passava inosservata in una famiglia dove la madre era da sempre ossessionata dal timore di ingrassare e di tutto ciò che poteva minacciare la sua bellezza, che riteneva leggendaria. Sin da bambina, Anna l’aveva vista di tanto in tanto intenta a procurarsi il vomito dopo un pasto troppo abbondante, tanto da considerare normale questa pratica. D’altra parte, anche il marito mostrava di ritenerla ovvia in quanto non la menzionava come problema. Di fatto, la figura della madre, centrale in famiglia, eclissava ogni problema degli altri membri, uniti in una tacita collusione nel mostrarsi ciechi di fronte alle manifestazioni della personalità profondamente disturbata della moglie e madre. 

Ciò che fece sì che qualcuno notasse qualche problema in Anna fu la frequenza, diventata via via regolare, con cui si ritirava nel bagno subito dopo aver mangiato. Nessuno ritenne però fosse necessario consultare uno specialista. Il medico, amico di famiglia, seguì Anna con consigli e raccomandazioni, limitandosi a monitorare di tanto in tanto la situazione dal punto di vista internistico. 

Alcuni anni dopo, quando ormai il disturbo di Anna si era ridimensionato nella forma di una alimentazione disordinata, una consultazione psichiatrica fu sollecitata per i sempre meno occultabili problemi della madre. In tale occasione, emerse quasi casualmente il non breve periodo in cui Anna aveva sofferto di sintomi bulimici, nonché lo stato di sofferenza psicologica che aveva sempre dissimulato dietro una facciata di normalità solo apparente, come il benessere fisico che il suo aspetto esteriore suggeriva.
Una volta lontana da casa per frequentare l’università, poté finalmente consultare uno psicoterapeuta per affrontare le proprie difficoltà, tra le quali il timore di ricadere nella bulimia come la madre occupava un ruolo non marginale.

3.2. Il caso di Erica

Non raramente, le candidate alla bulimia hanno subito esperienze di abuso sessuale all’interno della famiglia.

Il padre di Erica, un noto industriale, era anche un buon fotografo dilettante. Divenuta preadolescente, Erica divenne per un periodo la modella preferita del padre, il quale cercava di emulare un famoso fotografo di giovani fanciulle in fiore. Amava abbigliare la figlia in modo sottilmente ambiguo per fotografala in atteggiamenti allusivi ed erotizzati ma mai impudichi. 

Pur non essendo mai stata oggetto di approcci espliciti o diretti da parte del padre Erica, divenuta bulimica verso i 17 anni, ricordava in psicoterapia con grande turbamento queste sedute fotografiche. Non riusciva ancora, a distanza di anni, a capire se l’atmosfera erotizzata che avvertiva e la turbava fosse frutto di fantasie incestuose proprie o del padre. In ogni modo, il significato implicava la propria svalutazione: nel migliore dei casi, aveva rappresentato solo un oggetto su cui il padre si esercitava, senza minimamente considerare né notare il turbamento che provocava nella figlia.

Come guarire dalla bulimia? (come smettere)

La psicoterapia è sicuramente la scelta migliore data la priorità delle cause psicologiche ed anche più praticata. La possibilità di una risoluzione dei sintomi senza alcun tipo di trattamento specialistico è documentata. Tuttavia, il trattamento abbrevia i tempi e diminuisce la probabilità di esiti psicopatologici

Nei casi di precoce insorgenza, il coinvolgimento della famiglia, va privilegiato. 

Spesso è la paziente a chiedere un aiuto individuale successivamente, nel caso in cui i sintomi evolvano verso la cronicità, come nel caso in cui,  siano risoltosi spontaneamente lasciando dietro di sé un disagio più o meno profondo, non necessariamente inquadrabile entro una categoria diagnostica.Contattaci per un consulto o una psicoterapia

Anoressia Modigliani

L’anoressia è un disturbo alimentare che interessa tipicamente il sesso femminile dopo la pubertà, con due picchi a 15 e 18 anni.  

Se ancora non l’avessi fatto, ti consigliamo di leggere l’articolo sui disturbi alimentari per avere un’infarinatura sull’argomento.  

Per quelli come te, invece, che vogliono sapere di più cominciano dal nome anoressia.

Che cos’è l’anoressia? (significato e definizione)

Anoressia  significa “mancanza di appetito” (dal greco: il prefisso privativo ἀ- precede il lemma ὄρεξις, appetito). 

Ma la mancanza di appetito è precisamente ciò che non caratterizza l’anoressia.

L’anoressica, infatti, rifiuta il cibo perché non vuole, e in un certo senso non può, alimentarsi. Certamente non perché non avverta lo stimolo della fame. Ciò che spinge chi soffre di anoressia non solo a digiunare, o quasi, ma anche a praticare un’attività fisica eccessiva rispetto alle calorie che ingerisce è la paura di ingrassare

Come ha affermato Selvini Palazzoli, già nel lontano 1963, quando l’anoressia era ancora assai poco frequente: 

“A differenza che in altre malattie mentali (…) nell’anoressia il cibo in sé permane come cosa amabile, desiderabile, interessante, importante, continuamente presente allo spirito. Esso non è mai ‘veleno in sé’(…). E’ l’atto del cibarsi che è diventato pericoloso e angoscioso, l’atto del nutrirsi. Nessuna azione, neppure un delitto, assume per l’anoressica un significato di auto-degradazione e sconfitta quanto il satollarsi. Questo è divenuto sinonimo di degradazione e caduta”

Luca Mazzucchelli (ex studente EIST) intervista la nostra direttrice Valeria Ugazio, esperta di disturbi alimentari e sostenitrice della terapia sistemico-relazionale per la loro cura

L’esordio dell’anoressia: quali sono i sintomi?

L’esordio dell’anoressia può essere vario. Da una dieta iniziata per perdere qualche chilo viene eliminato gradualmente un alimento dopo l’altro. Le sollecitazioni dei genitori perché la ragazza riprenda un’alimentazione ragionevole cadono nel vuoto: c’è sempre un ultimo chilo da perdere ancora. Possono passare dei mesi prima che il peso della ragazza scenda sotto una soglia di allarme.

1. Anoressia e sintomi fisici

Spesso è l’insorgenza dell’amenorrea a rendere inequivocabile il fatto che la perdita di peso ha superato il limite. 

All’opposto, l’anoressia può iniziare improvvisamente come una specie di sciopero della fame (e qualche volta perfino della sete) con un declino rapido sul piano fisico. Oppure l’aumento dell’attività fisica è più evidente della restrizione alimentare. E’ quanto accade specialmente nelle ragazze che praticano uno sport agonistico che impone rigide norme dietetiche o dove le performances sono favorite da un fisico di tipo infantile (come la ginnastica artistica).

Tuttavia familiari ed amici a un certo punto si rendono conto che l’attività fisica è diventata invasiva: sembra essere l’unico interesse della ragazza, o quasi.

2. Anoressia e sintomi psicologici

L’umore all’inizio non risente della restrizione alimentare: anzi, spesso, più la ragazza perde peso, più dichiara di sentirsi bene. 

Tuttavia, l’interesse per le relazioni sociali diminuisce o si estingue del tutto. Questo perché la socialità è spesso connessa alla convivialità. Quindi, la ragazza sfugge a tutte le occasioni che possono indurla a mangiare.  Il focus attorno a cui ruota l’attività mentale della ragazza è il controllo del cibo, tutto il resto diventa secondario.

Anoressia: quali sono le cause?

Meno facile è soddisfare la tua curiosità sulle cause dell’anoressia.

1. L’anoressia nel mondo della moda (l’esempio negativo delle modelle)

L’ideale estetico della magrezza, incarnato dalle soventi meno eteree che scheletriche indossatrici è stato messo sul banco degli imputati. 

È certamente vero che il modello ideale di bellezza privilegia oggi la magrezza e che l’adolescente è particolarmente sensibile e ansiosa rispetto alle trasformazioni del proprio corpo, ma sarebbe riduttivo sovrastimare questo aspetto. 

L’anoressica non è una ragazza frivola che pensa solo alla linea e all’aspetto esteriore (che certamente il digiuno estremo non migliora).

2. Cause biologiche, psicologiche e sociali

La tendenza attuale della psichiatria propende per una etiologia multifattoriale, bio-psico-sociale, in cui non viene assegnata una priorità ad una componente rispetto alle altre.

La posizione della maggioranza degli psicoterapeuti e della EIST è di riconoscere alla componente psicologica un ruolo etiologico predominante. 

Per noi l’anoressia è un problema psicologico.

Anoressia | Distrubi Alimentari Psicogeni | DAP | Mara Selvini Palazzoli
Mara Selvini Palazzoli, pioniere dello studio e della terapia sull’anoressia e sui DAP

Inoltre, come Hilde Bruch, Mara Selvini Palazzoli, Salvator Minuchin – i pionieri dello studio e della terapia dell’anoressia – e gli altri psicoterapeuti che più hanno contribuito a farci capire questo disturbo e come curarlo, la EIST considera l’anoressia e le altre forme di disturbo alimentare collegate come parte di una stessa famiglia di disturbi: i Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP). 

Sebbene anoressia e obesità, ad esempio, siano opposte, hanno molto in comune come suggerisce la frequente compresenza nella stessa famiglia di entrambi i disturbi.

Anoressia nervosa o mentale (definizione, cause psicologiche e sintomi)

Proprio per l’origine psicologica dell’anoressia, essa viene spesso definita nervosa o mentale.

Rispondere alla domanda sulle cause dell’anoressia equivale allora a cercare di individuare i perché del digiuno.

1. L’anoressia e le pratiche ascetiche

Le prime descrizioni dell’anoressia come entità morbosa risalgono alla fine del XIX secolo.

Tuttavia, c’è chi ha notato che l’anoressia risale al medioevo. Alcune sante del medioevo, se considerate dal punto di vista psichiatrico d’oggi, soddisfano pienamente i criteri diagnostici per l’anoressia. 

Nel medioevo cristiano il digiuno faceva parte di pratiche ascetiche volte a elevare lo spirito liberandolo dalla prigione del corpo e dai desideri della carne. Il digiuno o regole dietetiche restrittive sono parte di tutte le pratiche ascetiche, presso culture anche molto diverse tra loro. 

Ciò che differenzia le “sante anoressiche” del medioevo dalle malate di anoressia sono i motivi alla base del digiuno oltre al modo in cui il contesto culturale considera questa condizione.

Anche se non si può dire certo che le anoressiche digiunino per questo motivo, certamente il desiderio di elevarsi intellettualmente e spiritualmente non è loro estraneo.  

Come probabilmente saprai, il rendimento scolastico delle anoressiche è di solito ben al di sopra della norma e, prima dell’insorgenza dei sintomi alimentari, incarnavano spesso un certo modello di figlia ideale.

2. L’anoressia e il ruolo delle relazioni familiari e interpersonali

Un altro tipo di digiuno ben noto è il digiuno per protesta

Protesta tipicamente non violenta, che getta il biasimo su qualcuno, sottolineando la propria superiorità morale.

I digiuni di Gandhi avevano un potente effetto proprio perché il destinatario – l’Impero britannico – si proponeva e giustificava il proprio dominio in quanto portatore di civiltà, come i lettori di Kipling sanno.

Protesta e accuse non dichiarate sono presenti anche nell’anoressia. Per molto tempo la principale, se non la sola imputata di questa tacita accusa, anche da parte degli psicoterapeuti, è stata individuata nella madre dell’anoressica.

Molti Autori hanno sottolineato  la presenza fra madre e figlia di  una sorda lotta dove il controllo delle calorie è il terreno dove si combatte una battaglia che ha altre motivazioni, mai dichiarate.

Per la verità il padre, e di regola fratelli e sorelle, sono oggetto di analoghe battaglie, dove la volontà di vincere la battaglia contro la fame diventa tutt’uno con la volontà di vincere la battaglia prima di tutto contro di loro.

Se ogni benevola sollecitazione dei familiari affinché la figlia si nutra in modo più ragionevole è inutile, non lo è di meno far presente ai familiari che le loro assillanti ed esagerate pressioni perché la figlia mangi un boccone in più sono inutili e controproducenti.

In questa lotta, ogni sotterfugio è lecito da una parte per inserire di nascosto nei cibi della ragazza qualche caloria in più e dall’altra per sventare l’inganno o smaltire con ginnastica supplementare, o altri mezzi, quello che è forzata a ingerire o sospetta di esserlo stata.

Anoressia: confronto competitivo e ipercriticismo nelle relazioni familiari

L’ambizione di primeggiare, così evidente in chi soffre di anoressia, non nasce dal nulla. Il confronto competitivo con gli altri e l’ipercriticismo sono spesso un valore e un atteggiamento condivisi in famiglia come messo in evidenza soprattutto  da Selvini Palazzoli (1963, 1981) e Ugazio (1998,2012,2018) .Spesso sono proprio entrambi i genitori o uno di loro a portare avanti con i fatti e con le parole l’importanza della competizione per il successo e l’immagine sociale. La competizione non è esercitata soltanto all’esterno della famiglia, ma anche all’interno.

“La lotta per la definizione della relazione – afferma Ugazio (1998) – è argomento costante della conversazione delle famiglie dove si sviluppa l’anoressia. L’oggetto del contendere, i «contenuti» del conflitto sono di regola irrilevanti, mentre chi abbia la supremazia (one- upmanship) è ciò che conta”  E ancora  “il confronto, con i criteri di riuscita e i conflitti competitivi che ne conseguono, guida nelle famiglie in cui si sviluppa l’anoressia sia le relazioni interne al nucleo, sia quelle con la parentela”. 

Molto spesso, più o meno copertamente, uno dei genitori considera l’altro inferiore intellettualmente e/o socialmente.  Questioni di superiorità o inferiorità riguardano tutte le differenze fra i coniugi e fra i membri della famiglia.

Per questo tutte le differenze sono bramate ma anche temute:  

“Poiché ogni definizione di sé è connotata in termini di più e di meno e dà luogo a una superiorità o a un’inferiorità rispetto agli altri, le differenze sono immediatamente colte, ma temute, negate, osteggiate, spesso ritenute illegittime. Le differenze non sono infatti al servizio della cooperazione. Al contrario, servono all’affermazione della propria superiorità di contro agli altri membri del nucleo, alla prevaricazione, o sono un indizio del proprio scacco, della propria disfatta. Per questo in queste famiglie la differenziazione individuale è ostacolata” (Ugazio 1998) 

La figlia anoressica è tipicamente superiore ai fratelli e sorelle in tutte le prestazioni, in particolare scolastiche. Anche l’attenzione alla dieta, al peso e in generale all’alimentazione ha spesso un ruolo importante in famiglia e precede l’insorgenza dell’anoressia nella paziente. 

Non sono rare le famiglie che gestiscono ristoranti, pasticcerie o rivendite di generi alimentari, oppure in cui vi è una tendenza al sovrappeso nel padre o sorella e madre sono in perenne lotta con le diete per mantenere la linea.

Perché l’anoressia si sviluppa di solito nell’adolescenza?

Anche il fatto che l’anoressia tipica insorga dopo la pubertà non avviene a caso. La tendenza a competere della futura anoressica, acquisita in una famiglia dove i confronti competitivi sono sempre presenti, fintanto che è una bambina sarà circoscritta ai fratelli e ai coetanei. Non gli mancheranno conferme e apprezzamenti da parte del genitore preferito e degli altri adulti del proprio gruppo familiare: un bambino, per quanto attraente e brillante, difficilmente viene percepito come minacciante dagli adulti. 

Con l’adolescenza in queste famiglie dove prevale quella che Ugazio (1998; 2012,2018) definisce la “semantica del potere” un equilibrio si rompe. Le future anoressiche crescendo si trovano, quasi inevitabilmente a competere con i genitori e con gli altri adulti della famiglia, semplicemente perché competere è una loro modalità caratteristica di interagire. 

Il confronto può riguardare la bellezza, l’eleganza, l’intelligenza, le capacità sportive.Poco conta quale sia il terreno su cui misurarsi, quel che  importa è chi ha la meglio. Per la verità non sono solo le future anoressiche ad essere competitive verso fratelli e sorelle e verso i genitori. Con il sopraggiungere dell’adolescenza, anche i genitori si sentono minacciati dai figli. 

Si tratta di genitori che generalmente si propongono ai figli come modelli. Spesso frustrati da un partner poco gratificante e da genitori avari di conferme trovano gratificazioni  nella rilevanza e nelle gratificazioni che i figli attribuiscono loro.

Soffrono, quindi, quando si accorgono dell’importanza che ora assumono per i loro figli insegnanti, allenatori sportivi, genitori di loro fidanzati o amici. Si risentono e spesso si offendono quando l’adolescente si entusiasma per idee, forme di comportamento, svaghi, letture, interessi  diversi dai loro che la ragazza apprende attraverso  frequentazioni autonome. Tutti questi comportamenti deludono, come ha messo in evidenza Guidano (1987) la futura anoressica e contribuiscono all’esordio dell’anoressia.

Storie di anoressia: testimonianze ed esperienze reali

Due brevi cenni a due casi di anoressia ti aiuteranno a farti un’idea delle dinamiche di queste famiglie.

1. Il caso di Sabina, una diciassettenne anoressica tra carnivori e vegetariani

Bracci di ferro, teste che devono chinarsi, conflitti e confronti competitivi occupano la scena non appena entriamo in contatto con la famiglia di Sabina, una diciassettenne anoressica, figlia unica di genitori che più diversi non potrebbero essere.

Il padre è un bell’uomo, robusto, che lavora nell’azienda agricola familiare, carnivoro come tutti i suoi fratelli con cui si trovano spesso per pranzi in cui non mancano mai costate, prosciutti e cotechini.

La madre, una forbita avvocatessa, è vegetariana e così minuta e magra, da sembrare incorporea . 

“E’ da  tre anni che volevo telefonarvi, perché ho capito subito che si trattava di anoressia” –  afferma la madre nella telefonata che precede il primo incontro – “ma ho aspettato che Sabina abbassasse la testa e riconoscesse di avere un problema , altrimenti che senso ha fare una terapia?”.  

Stiamo ancora raccogliendo le informazioni durante la prima seduta quando Sabina scoppia a piangere. 

La ragazza si lamenta: a differenza di sua cugina, non è intelligente. Ottiene bei voti perché si ammazza dallo studiare e finirà come sua zia, a cui vuole un grande bene – è la sua seconda madre – ma è una semplice impiegata comunale, a differenza di sua madre che è intelligente ed ha una professione prestigiosa. 

Ma perché mai tanta disperazione visto che Sabina ha risultati scolastici brillanti?

Per il papà queste sofferenze sono la conseguenza della brutta abitudine di sua moglie – non menziona la colpevole, ma lo sguardo non lascia dubbi – di fare confronti.  

Per la madre, invece, il problema è che la figlia non si sente alla sua altezza. Sabina soffre, secondo lei, perché non è naturalmente portata allo studio come invece lei è sempre stata. Sabina deve fare inoltre strenue battaglie con il cibo perché non è biologicamente magra come lei, che da quando è nata non ha mai mostrato interesse per il cibo.

In questa famiglia la madre è in posizione vincente, mentre il padre è in posizione di inferiorità.

2. Il caso di Gioia, una ragazzina anoressica di 15 anni con  genitori  che lottano strenuamente per collocarsi tra i “vincenti”

In altre famiglie prevalgono configurazioni diverse dove i vincenti non sono né madre, né padre ma si trovano nella famiglia estesa del padre.

Il padre di Gioia, una ragazzina di 15 anni, è primario medico in un ospedale di una cittadina di provincia. Da sempre in competizione con i due fratelli, è tuttavia il meno affermato nella professione che li accomuna. Nella visione del clan familiare, chi pratica la medicina occupa il vertice della specie umana. 

La moglie conserva tracce di una bellezza che la mitologia familiare ritiene leggendaria. Di estrazione sociale inferiore al marito, pur lavorando e mettendo al mondo tre figli, è riuscita, grazie alla sua determinazione, persino a laurearsi in età matura per essere all’altezza del marito e del clan di quest’ultimo. Ma questo non le è servito a guadagnare né la stima della famiglia del marito né la fedeltà di quest’ultimo.

In famiglia tutti sanno – anche se tutti fingono di non sapere – che il padre tradisce regolarmente la moglie, forse per ristabilire una superiorità minacciata proprio dai tentativi di ascesa culturale della donna.  

Gioia è l’ultima nata dei tre. Quando era piccola e la primogenita Serena era già quasi adolescente, la madre era impegnata per il conseguimento della sua laurea che purtroppo non le ha permesso di guadagnare una posizione superiore in famiglia. 

Serena è stata la persona che l’ha sostituita in gran parte nell’accudimento di Gioia. L’anoressia insorge quando la sorella maggiore, che era sempre stata abbastanza generosa di conferme verso Gioia e che vantava successi accademici degni degli zii, si prepara a trasferirsi a Milano per una specializzazione e per convivere con il fidanzato. Gioia si trova a tu per tu con una madre e un padre, di certo non particolarmente apprezzati perché visti con gli occhi della sorella e tanto più competitivi perché frustrati.   

Non devi pensare ovviamente che tutte le ragazze anoressiche e le loro famiglie siano come quella di Sabina o di Gioia. Le varianti sono nella realtà clinica più numerose dei casi tipici e in progressivo, continuo aumento. Descrivere casi esemplificativi prototipici ha però il vantaggio di proporre un quadro ideale che, pur ammettendo innumerevoli varianti, offre un quadro unitario non tanto dal punto di vista descrittivo quanto del significato dei sintomi e delle ragioni coinvolte nella loro genesi.

Anoressia: alcuni libri che ti consigliamo di leggere

Se vuoi sapere qualcosa di più sulla dinamica familiare connessa allo sviluppo dell’anoressia ti consigliamo di leggere:

Mara Selvini Palazzoli: L’anoressia Mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare. Milano: Cortina, 2006

1. Mara Selvini Palazzoli: L’anoressia Mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare. Milano: Cortina, 2006

La prima edizione del libro, pubblicata da Feltrinelli, è del 1963. La seconda edizione, del 1981, rivista, contiene il passaggio di Mara Selvini Palazzoli da un approccio psicoanalitico a quello sistemico e i risultati di una ricerca pionieristica su 12 famiglie con una figlia anoressica i cui risultati individuano caratteristiche di queste famiglie a tutt’oggi condivisibili. Ti consigliamo di leggere, soprattutto, la quarta parte che testimonia il passaggio alla terapia familiare, ma non  dimenticare la seconda parte che, sebbene formulata entro un paradigma psicoanalitico lo supera per molti aspetti ed è del massimo interesse.

Salvator Minuchin,  Bernice L. Rosman & Lester Baker (1978 edizione originale) Le famigie psicosomatiche, Astrolabio 1980

2. Salvator Minuchin,  Bernice L. Rosman & Lester Baker (1978 edizione originale) Le famigie psicosomatiche, Astrolabio 1980

Il testo è un po’ datato, ma il terzo capitolo vale la pena di leggerlo, te lo consigliamo, così come alcuni altri capitoli sulla terapia, ma di questo parleremo in un altro articolo.

Eist: centro specializzato per la cura dell’anoressia a Milano

La psicoterapia sistemico relazionale può giocare un ruolo fondamentale nel superare conflitti e  competizioni in ambito familiare e interpersonale che sono alla base dell’esordio dell’anoressia.

La EIST dalla sua fondazione non solo fa psicoterapia con le persone con anoressia ma svolge attività di ricerca su questo disturbo. 

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Se leggi questa pagina, immagino tu sia interessata o interessato a sapere qualcosa di più sui disturbi alimentari.

Forse ti interessa perché riguarda direttamente te o un’amica o un familiare, oppure perché questo tema è legato alla tua professione, o per semplice curiosità. Quale che ne sia il motivo, queste pagine cercheranno di soddisfare le tue esigenze. Troverai informazioni generali, che potrai approfondire a diversi livelli, via via più specifici.

Quindi prenditi un po’ di tempo e fatti guidare dalla curiosità.

Indice

Cosa sono i disturbi alimentari (DCA)?

Quali sono i disturbi alimentari?

1. Anoressia

2. Bulimia Nervosa

3. Binge Eating Disorder o Disturbo da alimentazione incontrollata

4. Obesità

5. Night Eating Syndrome

6. La Pica e il Disturbo da Ruminazione

Quali sono le cause dei disturbi alimentari?

1. Cause biologiche

2. Cause psicologiche

3. Cause psicosociali

4. Cause culturali

5. Cause derivanti da altri disturbi psichici

Disturbi alimentari: quali sono i primi sintomi? Come riconoscerli?

1. I sintomi dell’anoressia

2. I sintomi della bulimia

I disturbi alimentari infantili e nei bambini

1. L’anoressia nel bambino

2. Il disturbo da comportamento alimentare restrittivo e selettivo

3. L’obesità infantile

Disturbi alimentari: come uscirne?

Il trattamento dei disturbi alimentari: a chi rivolgersi?

Come curare i disturbi alimentari con la psicoterapia sistemico relazionale?

EIST è un centro psicoterapeutico specializzato nella cura dei disturbi alimentari

Cosa sono i disturbi alimentari (DCA)?

I disturbi alimentari consistono in modalità di assunzione di cibo che compromettono lo stato di salute fisica o il funzionamento psicosociale di una persona.

Vi sono diverse forme di disturbi alimentari che sono classificate tra i disturbi mentali.

Quali sono i disturbi alimentari?

I principali disturbi alimentari sono:

  1. l’Anoressia Nervosa
  2. la Bulimia
  3. il Disturbo da Alimentazione incontrollata
  4. l’Obesità
  5. la Night Eating Syndrome
  6. la Pica e il Disturbo da Ruminazione

Il Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (ultima versione: DSM 5) include anche la Pica e il Disturbo da Ruminazione che sono assai meno diffusi nella pratica clinica, mentre non comprende l’obesità, considerata invece da molti psicologi e psichiatri un disturbo alimentare e di cui parleremo più avanti.

1. Anoressia Nervosa

La forma più nota di disturbo alimentare, la prima identificata come entità nosografica autonoma, è l’Anoressia, oggi detta Nervosa, un tempo anche Mentale per sottolinearne la natura essenzialmente psicologica. L’Anoressia è legata primariamente ad un ingiustificato, quanto esasperato, timore di ingrassare e interessa tipicamente il genere femminile.

Se per caso una persona che conosci somiglia alla ragazza nel ritratto di Modigliani qui a sinistra, ma quando si guarda allo specchio dice di vedersi più o meno come uno dei personaggi del quadro di Botero sulla destra, probabilmente ne soffre e farebbe bene a preoccuparsi.

La paura di ingrassare è oggi molto comune, non solo negli adolescenti. I prodotti che promettono di far perdere peso occupano, infatti, uno spazio ragguardevole nella pubblicità, come nelle farmacie. Ciò che contraddistingue la condizione anoressica sono però le modalità particolari con cui il timore di ingrassare si manifesta.

Mirna, una quindicenne figlia di un medico, poteva discutere del metabolismo con una competenza superiore a quella del padre e conosceva il contenuto calorico di ogni alimento, nonché il tipo e quantità di attività fisica richiesta per smaltirlo. La focalizzazione su tutto ciò che riguarda il cibo e l’alimentazione, in tutti i suoi aspetti, era pervasiva. Nonostante il termine anoressia significhi ‘mancanza di appetito’, in realtà non è così e il termine è improprio anche se ormai si è affermato. Mirna, che in effetti dichiarava di non avere appetito, in realtà combatteva contro il desiderio di mangiare. Un suo timore nascosto si poteva esprimere più o meno con queste parole: se mi lascio andare a mangiare, poi non mi fermo più. Mirna si dilettava di cucina, preparava torte e dolci che i famigliari (soprattutto il fratellino) erano forzati a nutrirsene in cambio del suo impegno di sforzarsi a mangiare a sua volta un po’ di più. 

Il soggetto del quadro di Modigliani è una ragazza perché, come s’è detto, tipicamente anche se non necessariamente, l’anoressia interessa con frequenza nettamente maggiore il sesso femminile. Nelle sue forme tipiche, insorge all’inizio della pubertà o in adolescenza. Più raramente, interessa i maschi (in una proporzione che varia da 1:6 a 1:10 nei diversi studi), i bambini oppure soggetti in età adulta. Descritta per la prima volta in Europa, è oggi diffusa in tutti i paesi occidentali e in Giappone, assieme alla bulimia.

Se volessi approfondire il tema ti consigliamo la lettura di questo articolo.

2. La bulimia nervosa

disturbi alimentari: bulimia nervosa

La Bulimia Nervosa come entità nosografica autonoma nasce molto più tardi rispetto all’anoressia, precisamente nel 1980 con la prima edizione del DSM 3, che ovviamente la include nel gruppo dei disturbi del comportamento alimentare. In precedenza, nel XVIII e XIX secolo, era stata raramente menzionata, per lo più come variante associata all’anoressia o ad altri quadri patologici.

In qualche modo, la bulimia rappresenta una ‘soluzione’ del problema di chi non vuole ingrassare ma non riesce a trattenersi dal mangiare. Se tale soluzione è insoddisfacente per chi la pratica, non lo è per le industrie sia produttrici di prodotti dimagranti che di alimenti ipercalorici: entrambe vengono così remunerate per le somme ingenti che spendono per pubblicizzare i propri prodotti.

Nella bulimia, periodicamente la restrizione alimentare è interrotta da abbuffate pantagrueliche. La persona che soffre di bulimia, una volta procuratosi cibo a sufficienza, si lascia andare e ne ingerisce grandi quantità in poco tempo, per lo più in solitudine. L’abbuffata è seguita da forte disagio psicologico, senso di colpa e spesso dalle c.d. ‘condotte di eliminazione’ (tipicamente il vomito, ma anche l’uso lassativi o diuretici, iperattività fisica, ecc.).  Frequentemente, queste ragazze riescono in questo modo a mantenere un peso e un aspetto normali. La pratica del vomito e le condotte di eliminazione sono spesso associate anche all’anoressia, soprattutto nelle forme croniche.

Beatrice, una trentacinquenne la cui alta statura metteva in risalto l’estrema magrezza, dai 15 anni aveva iniziato a praticare una dieta via via sempre più rigida, per controllare la tendenza al sovrappeso propria della sua famiglia. Con il tempo, la sintomatologia si era modificata. Dopo la morte dei genitori, si era trovata a vivere da sola nella villa rinascimentale sulle colline toscane ricevuta in eredità assieme a un patrimonio appena sufficiente a mantenere sé stessa e la propria costosa abitazione. Poté così dedicarsi in modo quasi esclusivo al controllo della propria alimentazione e del proprio peso. Il vomito, l’uso di lassativi e diuretici erano sapientemente dosati in modo da garantirle la sopravvivenza nonostante le condizioni fisiche non le consentissero più che una limitata attività.

Per approfondire il tema ti consigliamo di leggere questo articolo.

3. Binge Eating Disorder o Disturbo da Alimentazione Incontrollata

Nel Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder) gli eccessi alimentari non sono seguiti da condotte di eliminazione come nella bulimia: l’obesità ne costituisce l’inevitabile conseguenza.  Mentre nella maggior parte dei casi l’abbuffata bulimica è più o meno accuratamente pianificata, in questo disturbo è spesso una situazione propizia, o la semplice consapevolezza della disponibilità di cibo, a rappresentare una tentazione alla quale non si può resistere. 

Fabio, un ragazzo di 13 anni, in occasione di una riunione di famiglia, rimase solo in casa mentre genitori, fratelli e parenti si assentavano per la messa. Recatosi in cucina, si trovò di fronte tredici bistecche, che ingoiò una dopo l’altra, prima del ritorno dei famigliari. Costoro, convinti che la sparizione delle bistecche nello stomaco del ragazzo fosse uno scherzo di Fabio, solo a fatica si convinsero che diceva loro la verità. Con il medico che lo vide più tardi, Fabio si giustificò dicendo di non riuscire a trattenersi di fronte al cibo, senza peraltro manifestare particolari emozioni, pur dicendosi convinto di sbagliare comportandosi in quel modo.

4. Obesità

L’obesità si  caratterizza  per un accumulo di grasso corporeo. L’indicatore più utilizzato è l’indice di massa corporea (Body Index Mass): quando è uguale o superiore a 30 si parla di obesità. Questa patologia rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica.  Incide infatti sulla qualità e durata della vita perché ha conseguenze importanti sulle condizioni di salute. 

Dai dati raccolti dall’ Italian Obesity Barometer Report, realizzato in collaborazione con ISTAT e presentato a Roma, nell’ aprile 2019 emerge che in Italia il 9,4 delle donne e 11,8 degli uomini sono obesi. In sintesi, un italiano su dieci è obeso. 

L’obesità non sempre è l’esito del Binge eating disorder. Le persone possono diventare obese semplicemente perché regolarmente mangiano troppo e non fanno attività fisica.

Questo tipo di obesità, esito di stili alimentari personali e familiari, può non essere associato a problemi psicologici. Per questa ragione, per altro condivisibile, il DSM 5, come le edizioni precedenti, non include l’obesità fra i disturbi mentali. 

È tuttavia difficile che l’obesità non abbia conseguenze psicologiche nelle nostre società dove magrezza e prestanza fisica sono valorizzati e considerati indicatori di successo e status, sempre più anche per gli uomini. Le richieste di terapie per l’obesità sono spesso motivate più dal profondo disagio psicologico creato dalla condizione di obesità che dalle sue conseguenze sulla salute fisica.

5. Night Eating Syndrome

Questo disturbo alimentare è caratterizzato da:

  • un pattern pressoché giornaliero di assunzione di cibo che incrementa significativamente la sera e la notte. Il paziente salta per lo più la colazione la mattina perché non ha appetito, spesso mangia poco a pranzo e poi incrementa progressivamente l’assunzione del cibo durante la sera e la notte
  • da episodi in cui il paziente mangia dopo essersi svegliato durante la notte o si sveglia per mangiare. 

Affinché si possa parlare di un vero disturbo psichico, questi comportamenti devono essere accompagnati da disagio psicologico e da serie limitazioni  nella vita del paziente. 

Il DSM cita questa sindrome tra gli altri disturbi alimentari specificati. Si tratta per il DSM di una diagnosi residuale che va formulata quando non sono soddisfatti tutti i criteri per la diagnosi ad esempio di binge eating disorder. 

Se la night eating syndrome debba essere considerato un disturbo a sé stante è controverso. Per molti psicologi clinici e psichiatri è soltanto l’espressione del proliferare delle etichette diagnostiche.  

Un dato interessante è che questo pattern alimentare, comunque lo si voglia considerare, è molto frequente fra gli obesi. Mentre tra la popolazione con peso nella norma questo pattern non supera l’1,5%, tra le persone gravemente obese è presente tra il 15 e il 25%. 

Può comunque essere riscontrato anche nelle anoressie, e soprattutto in fase di remissione.

6. La Pica e il Disturbo da Ruminazione

Sono disturbi alimentari molto meno frequenti e per lo più associati a deficit mentale o altre gravi patologie (ad es. schizofrenia):

  • la Pica  è caratterizzata dall’ingestione di materie non commestibili (terra, inchiostro, ecc);  
  • il Disturbo da ruminazione che consiste in una prolungata masticazione, a volte seguita da rigurgito del bolo già ingerito, che viene nuovamente masticato in bocca.

Quali sono le cause dei disturbi alimentari?

Oggi la comunità scientifica tende a proporre per i disturbi del comportamento alimentare, come per gran parte degli altri, modelli multifattoriali di tipo bio-psico-sociale.

Come per la maggior parte dei disturbi mentali, non è possibile individuare una causa unica ma un insieme di fattori che possono associarsi e interagire in misura e in modo diverso tra loro nel singolo caso, per favorire l’insorgenza e il mantenimento di un disturbo alimentare.

1. Cause biologiche

Un fattore biologico evidentemente coinvolto è costituito dall’appartenenza al genere femminile, ma naturalmente il peso della cultura e degli stereotipi di genere possono essere determinanti. Tipicamente i DCA, anoressia in particolare,  riguardano giovani donne, dall’inizio della pubertà e nella prima giovinezza, con frequenza nettamente superiore (da 6 a 10 volte) rispetto ai maschi, anche se si registra sia una tendenza all’estensione alle fasce d’età superiore e inferiore, sia a soggetti di sesso maschile.

2. Cause psicologiche

La dimensione psicologica è unanimemente considerata di primaria importanza nei disturbi alimentari più comuni. Anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating disorder) sono associati a determinate caratteristiche psicologiche e la loro stessa definizione implica un atteggiamento psicologico e un disagio legato all’assunzione di cibo e alle sue conseguenze sull’aspetto esteriore. Il fatto di essere molto magri o obesi deve essere associato a un disagio psicologico che ne deriva. 

Analogamente, i fattori familiari entrano in modo vario ma costante nel favorire la comparsa e la persistenza di tali disturbi.  Una delle primissime descrizioni della sindrome, nel 1873, si deve a un internista francese, Ernest-Charles Lasègue, il quale incluse l’atteggiamento dei familiari come elemento necessario nel processo diagnostico.

Oggi, la psicoterapia familiare o comunque trattamenti che prevedono il coinvolgimento della famiglia sono considerati parte integrante di qualunque programma di trattamento dei disturbi alimentari. Le linee guida britanniche NICE (National  for Health and Care Excellence), molto seguite anche in Italia, raccomandano la terapia familiare come trattamento preferenziale per le anoressie e bulimie  infantili, adolescenziali e giovanili e il coinvolgimento della famiglia anche in in età adulta.

3. Cause psicosociali

Anche la componente psicosociale gioca un ruolo innegabilmente importante. Il dato epidemiologico è di per sé rivelatore: secondo dati aggiornati a novembre del 2006, forniti dal Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, la prevalenza dell’Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa in Italia sarebbe rispettivamente dello 0.2%–0.8% e dell’1%–5%, in linea con quanto riscontrato in molti altri paesi europei e non. 

Nonostante la carenza di studi epidemiologici nel nostro paese (dal 2006 al 2011 si possono contare solo 2 studi epidemiologici confrontabili con quelli della letteratura internazionale), questi dati sono simili a quelli degli altri paesi occidentali (Europa, USA e Canada, Giappone). Viceversa, nei paesi in via di sviluppo i dati relativi a incidenza e prevalenza dei DCA sono estremamente scarsi anche per la loro scarsa rilevanza in termini quantitativi, ma sembrano indicare che la presenza di tali disturbi è collegata al grado di esposizione all’influenza della cultura occidentale.

4. Cause culturali

cause culturali disturbi alimentari

I criteri per la diagnosi e diagnosi differenziale non possono evitare di fare riferimento a fattori culturali.  Ne sono testimonianza le statuette delle ‘veneri preistoriche’, come quella nella foto, oggi potenziale candidata a una cura per l’obesità più che a un concorso di bellezza.

5. Cause derivanti da altri disturbi psichici

I DCA sono spesso associati ad altri disturbi psichici:

  • la comorbidità più frequente dell’anoressia è con i disturbi d’ansia, soprattutto nelle prime fasi del disturbo
  • fenomeni depressivi, o comunque di forte tristezza sono molto frequenti quando l’anoressia comincia a essere superata e la ragazza riacquista peso
  • anche l’associazione con i disturbi di personalità è tutt’altro che rara 
  • la bulimia è a volte associata anche con l’abuso di sostanze.

Disturbi alimentari: quali sono i primi sintomi? Come riconoscerli?

L’esordio di un Disturbo alimentare può essere molto vario in relazione all’età, al genere, oltre che alla sua tipologia.

1. I sintomi dell’anoressia

anoressia sintomi

Nelle forme tipiche di anoressia, l’esordio interessa ragazze adolescenti o preadolescenti, talora in coincidenza o poco dopo il menarca, altre volte qualche anno più tardi.  

Una dieta iniziata per un sovrappeso – anche lieve o solo presunto – è seguita da una progressiva riduzione degli alimenti, spesso selettiva in modo crescente. 

Tipicamente, si tratta di ragazze che non hanno mai dato problemi, con un rendimento scolastico sopra la media.

Quello di Fabiola è un esempio di esordio tipico.  Fabiola è una ragazza di 14 anni che frequenta la prima superiore. Figlia di due dirigenti d’azienda nel pieno di una brillante carriera, ha sempre avuto un rendimento scolastico più che brillante: considera ogni voto al di sotto del massimo come una macchia nel suo curriculum di scolara modello. Pratica sport a livello agonistico (ginnastica artistica), dove il suo corpo da bambina prepubere non rappresenta un handicap ma un vantaggio. Da circa un anno ha iniziato a ridurre il cibo, forse sollecitata dalla sua allenatrice, rifiutando prima la carne, poi via via altri alimenti. Apparentemente, nulla è cambiato nella sua vita o in quella della sua famiglia, dove tutti sono da sempre impegnatissimi nel lavoro. Escono la mattina e si ritrovano per la cena, soddisfatti perché ognuno ha fatto il proprio dovere dando il massimo. Fabiola e il fratello minore dopo la scuola pranzano a casa di una zia materna, dove rimangono nel pomeriggio anche per i compiti. Anche quando la perdita di peso di Fabiola diventa evidente, la ragazza nega qualunque problema dichiarando di sentirsi benissimo; è molto attiva anche sul piano fisico e le sue lamentele riguardano l’insistenza crescente dei familiari perché riprenda un’alimentazione normale. Tali pressioni dei familiari, diventate secondo lei eccessive, sortiscono solo l’effetto di indurre in lei crisi di pianto. Nemmeno la decisione di ridurre al minimo gli allenamenti, comunicata alla famiglia dai dirigenti della squadra, modifica la sua posizione, che la porta a rifiutare ogni proposta di trattamento. Indotta a mangiare un po’ di più con vari espedienti, promesse e minacce, Fabiola ha escogitato una specie di ginnastica da praticare sotto le coperte circa per un paio d’ore dopo essersi coricata, come confiderà poi alla madre. Contrae i muscoli che la riduzione degli allenamenti ha reso meno attivi, allo scopo di non diminuire il consumo calorico.  Alla fine, finisce per accettare una terapia familiare, pur senza ammettere di essere portatrice di un problema: ‘accetto perché tutti in famiglia dobbiamo fare un passo avanti.  

Non raramente però la situazione familiare presentata è ben lontana da un quadro anche solo apparentemente idilliaco. Tuttavia, anche quando nulla sembra turbare l’immagine di famiglia ‘normale’, un’indagine accurata del periodo precedente l’inizio dei sintomi può mettere in evidenza cambiamenti nel contesto familiare. Spesso si tratta di eventi non chiaramente traumatici e che possono non riguardare direttamente la futura anoressica.

2. I sintomi della bulimia

Se la perdita di peso, oltre a un certo limite, non può passare inosservata, non altrettanto accade nei casi di bulimia nervosa, soprattutto se il peso è nella norma. Le abbuffate vengono tipicamente pianificate in modo da passare inosservate e il solo comportamento rivelatore può essere rappresentato dal ritirarsi nel bagno per vomitare dopo i pasti. Questo segnale può però essere ignorato in molti casi, data la frequenza crescente con cui, per motivi diversi, i membri di molte famiglie oggi consumano i pasti in tempi o luoghi diversi. 

Moira, una bella ragazza di 21 anni, studentessa universitaria, poteva vantare molti corteggiatori e una linea invidiabile, che le permetteva di affrontare senza timori anche la prova costume. Nonostante questo, si lasciava andare con regolarità a vere e proprie orge alimentari, secondo un preciso rituale. In primo luogo, doveva individuare un luogo o un momento che garantissero l’isolamento, cosa non semplice data la convivenza con altre studentesse. L’orgia alimentare richiedeva infatti la garanzia della solitudine. Il secondo problema riguardava la scelta del tipo di alimenti da acquistare in grande quantità, che non necessariamente dovevano esserle graditi. Poteva ora scegliere dolciumi, ora ortaggi da consumarsi crudi. In ogni caso, una volta iniziato a mangiare non si fermava se non dopo aver raggiunto il limite massimo per lei, al quale seguiva l’autoinduzione del vomito. Le abbuffate la lasciavano stremata e sopraffatta dal senso di colpa e dal disgusto verso se stessa. A tali eccessi seguivano alcuni giorni di digiuno ed estenuanti sedute in palestra. Non appena poté, Moira lasciò l’appartamento con le altre studentesse per trasferirsi in un monolocale, ufficialmente per poter studiare di più, in realtà per dedicarsi indisturbata alle proprie abbuffate. Poiché la bulimia si rivelava decisamente costosa in termini economici, approfittò di questo cambiamento per farsi aumentare dai genitori il mensile per il proprio mantenimento. Privata dei vincoli sociali, perse ben presto il controllo sulla propria alimentazione e, spaventata, chiese una terapia individuale.

Come Moira, molti soggetti bulimici riescono a mantenere un peso normale. Non raramente il loro disturbo in famiglia passa inosservato anche per parecchio tempo. Come si è già detto non sono poche le famose star di Hollywood, modelle e qualche principessa che hanno confessato di aver sofferto di questo disturbo. In libri o tramite i social media, hanno raccontato la propria dolorosa esperienza raccomandando alle giovani di non seguire il loro esempio.

Una differenza rimarchevole tra le ragazze bulimiche e le anoressiche riguarda la vita sentimentale e sessuale.  Anche se le pazienti anoressiche spesso si accompagnano ad un partner, comunque gli concedono ben poco in termini di passione amorosa. 

Gioia, una tipica bellezza meridionale di 24 anni, aveva sofferto in adolescenza di anoressia restrittiva, poi risoltasi con l’aiuto di una terapia individuale. Gioia frequentava Davide da oltre un anno, presentandolo come il suo ragazzo, quando chiese una seconda tranche di trattamento. Il suo rapporto con Davide era basato su una premessa condivisa: doveva essere un’esperienza unica, totalmente esente dalla banalità che caratterizzava le coppie dei loro compagni di università. Il loro rapporto doveva mantenersi su un piano totalmente spirituale. Il fine comune doveva consistere nel motivarsi reciprocamente ad elevarsi intellettualmente e spiritualmente, in primo luogo attraverso lo studio e l’approfondimento di testi adatti a questo fine.  L’intimità doveva essere totale e quindi puramente spirituale, alimentata dal successo nel reprimere il desiderio. Gioia si sentiva completamente soggiogata dal fascino intellettuale di Davide, che la ricambiava attribuendo a lei la propria incapacità a progredire lungo la via intrapresa, soprattutto negli studi. Per questo, aveva preso con il tempo ad umiliarla e trattarla in malo modo, anche in pubblico. 

Al contrario di Gioia Alice, da anni una bulimica a peso normale, accettava volentieri le attenzioni non platoniche dei suoi corteggiatori, usando una strategia che indicava con il termine di ‘riconversione’ : selezionava ragazzi che potevano esserle di utilità per qualche suo scopo e, una volta resili ‘dipendenti’ usando le armi della seduzione femminile, se ne serviva per uno scopo contingente, per poi ritirarsi dal rapporto. Rapporto che però mai veniva interrotto del tutto.  L’amante veniva ‘riconvertito’ in amico, ponendolo in una ‘riserva’ pronto per essere usato come compagnia in caso dei ricorrenti penosi momenti di vuoto o solitudine, confidente o compagno di viaggio. 

Non raramente, come nel caso di Alice, le candidate alla bulimia hanno subito esperienze di abuso sessuale all’interno della famiglia. 

I disturbi alimentari infantili e nei bambini

I disturbi più diffusi nei bambini sono:

  1. anoressia
  2. disturbo da comportamento alimentare restrittivo e selettivo
  3. obesità infantile

1. L’anoressia nel bambino

Si differenzia dall’anoressia dell’adolescente per  le ragioni  psicologiche che ne sono all’origine . Il ridotto apporto alimentare non è legato a un timore esagerato di ingrassare ma ad una paura diversa. Spesso tale timore è conseguente a un episodio traumatico o vissuto come tale – il caso più frequente è la paura del soffocamento da cibo

Katia, a dieci anni, durante un picnic aveva ingoiato un boccone troppo grosso per poter essere deglutito ma anche espulso. La conseguente difficoltà a respirazione era aumentata dal suo spavento. Nonni e genitori, non meno agitati della bambina, non riuscendo a risolvere la situazione, si erano precipitati al Pronto Soccorso dell’Ospedale, fortunatamente non lontano, dove la situazione era stata felicemente risolta. L’episodio tuttavia aveva lasciato un forte timore in Katia e nel resto della famiglia. Da quel giorno la bambina aveva eliminato gradualmente vari alimenti che temeva avrebbero potuto provocarle un nuovo episodio.  La restrizione alimentare perdurava a distanza di un anno e Katia era decisamente sottopeso. Se prolungato nel tempo, questo disturbo può arrivare infatti anche a compromettere la crescita.

2. Il disturbo da comportamento alimentare restrittivo e selettivo

Il disturbo da comportamento selettivo nell’assunzione di cibo è assai diffuso. Si tratta di bambini che mangiano solo alcune tipologie di cibi. Ad esempio cibi semisolidi come frullati o pappineFino ai 4 anni è abbastanza comune fra i bambini la ritrosia verso i cibi nuovi e una buona dose di selettività nei cibi che assumono.

Tuttavia se le restrizioni diventano troppo numerose e se si verificano carenze nutrizionali si entra nel cosiddetto disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo anche se il peso del bambino risulta del tutto normale.

3. L’obesità infantile

E’ particolarmente diffusa nel nostro Paese. I dati Istat del 2019  ci dicono che nel biennio 2017-2018 il 25,2 % della popolazione dai 3 ai 17 anni risultava in eccesso di peso. Le differenze di genere sono notevoli (27,8 dei maschi versus 22,4 delle femmine) così come quelle fra Nord e Sud (Nord Ovest 18,8  versus 32.7 Sud). 

Inoltre quasi il 10% dei bambini risulta obeso

A differenza dell’adulto non basta l’indice di massa corporea (BMI Body Index Mass) a definire se siamo di fronte a un bambino obeso e di quale entità sia il problema, ma occorre utilizzare delle apposite tabelle di riferimento. 

Come per gli adulti, anche per i bambini, essere obesi non significa necessariamente avere un disturbo del comportamento alimentare. Tuttavia l’obesità infantile non deve essere considerata solo il frutto di cattiva alimentazione, scarsa attività fisica o predisposizione genetica. 

L’obesità infantile è spesso la conseguenza di un emotional eating. Ovvero il bambino cerca di “tenere a bada” alcuni stati emotivi mangiando. Si può andare dal saltuario o continuo piluccamento alle abbuffate compulsive con perdita di controllo. Tali comportamenti sono di norma tenuti nascosti e negati, non solo per la paura delle conseguenze (rimproveri da parte dei genitori) ma anche per il senso di vergogna che spesso accompagna l’iperalimentazione. I bambini obesi tuttavia, lasciano spesso tracce delle loro “mangiate”: carte nascoste nei meandri di casa, briciole sparse qua e là, frigoriferi e dispense saccheggiati.

Giovanni, un bimbo di 8 anni, obeso ormai da due anni, negava, fino a farsi venire crisi di pianto inconsolabile, di aver portato in camera propria e divorato interi pacchi di biscotti, merendine e patatine di cui puntualmente lasciava gli involucri vuoti e le briciole sotto il letto. I genitori di Giovanni erano disperati per motivi diversi: il padre, anche lui obeso, si sentiva in colpa per ogni etto in più del figlio dando la colpa alla maledetta genetica, la mamma, una donna atletica non si capacitava di non essere riuscita ad insegnare al figlio l’autodisciplina.

Negli ultimi anni sono state condotte diverse campagne di sensibilizzazione volte a mettere in guardia la popolazione sui rischi legati all’obesità infantile. Ecco i due principali: 

  • rischio sulla salute. Un terzo dei bambini e la metà degli adolescenti sovrappeso e obesi manterranno e peggioreranno la loro condizione in età adulta con inevitabili conseguenze sullo stato di salute. 
  • rischio per l’insorgenza di un disturbo alimentare restrittivo in età adolescenziale.

Nonostante queste evidenze l’obesità infantile è spesso sottovalutata. La credenza prevalente è che un bimbo paffuto è bello e in buona salute. Anche chi è più accorto pensa spesso che con la crescita il problema svanirà. L’ipotesi che l’obesità del proprio bambino possa essere la conseguenza di abbuffate compulsive o di emotional eating,  quindi l’effetto di un disturbo dell’alimentazione, viene spesso ignorata dai familiari. A volte, i curanti, prescrivendo regimi alimentari puntualmente disattesi, aggravano le sensazioni di fallimento e la conseguente convinzione nel bambino stesso, oltre che nei suoi familiari, di essere un caso perso. 

Anna, Eleonora e Lorenzo: 11, 10 e 9 anni partecipavano a un gruppo psicologico con i loro genitori all’interno di un percorso di day hospital per bambini obesi. Nonostante la loro giovane età, avevano elencato, con dovizia di particolari, almeno cinque o sei percorsi intrapresi per perdere peso. Tutti e tre condividevano la medesima sensazione di essere incapaci e  tutti e tre avevano paura dei camici bianchi che li pesavano e puntualmente li rimproveravano più o meno benevolmente. I genitori sentivano il peso di non riuscire a insegnare ai propri figli una corretta alimentazione ed uno stile di vita adeguato. Allargando tuttavia lo sguardo ai significati che il cibo e la forma fisica assumevano in queste tre famiglie e focalizzandosi sui periodi in cui vi era stata l’insorgenza di un comportamento alimentare disfunzionale con conseguente aumento di peso dei figli e loro, i genitori  si erano stupiti di quanto loro stessi fossero caduti nella trappola di pensare che il problema proprio e dei figli fosse semplicemente l’incapacità di seguire una dieta e  di dedicarsi ad un’attività fisica adeguata.

Generalmente di fronte a un problema di obesità infantile occorrerebbe quindi prima di tutto distinguere quando ci si trova di fronte a una famiglia vittima di cattive abitudini alimentari oppure di fronte a dinamiche più complesse che solo se comprese e cambiate possono favorire la risoluzione del sintomo.

Disturbi alimentari: come uscirne?

Le persone che hanno un disturbo alimentare psicogeno generalmente evitano di ricorrere ad aiuti esterni. Se si tratta di bambini o adolescenti, i genitori esitano a ricercare soluzioni al problema alimentare all’esterno della famiglia nella convinzione di riuscire ad aiutare la figlia o il figlio a superare il problema.  I giovani adulti o gli adulti frequentemente nascondono a lungo agli stessi familiari vomito, uso massiccio di lassativi, e altri sintomi o comportamenti inappropriati. Ricorrono invece compulsivamente a diete che puntualmente falliscono.  

La decisione dei genitori o del paziente di rivolgersi a specialisti è quindi un grande passo avanti verso la soluzione del problema. Più presto viene presa questa decisione tanto maggiore è la probabilità di guarigione. Come in altre psicopatologie, la cronicità più che la gravità del disturbo è un indicatore prognostico negativo. Quanto più a lungo si è vissuti con il disturbo alimentare tanto più sarà difficile superarlo. Va tuttavia tenuto conto che si può guarire anche da gravi cronicità. I disturbi alimentari psicogeni anche gravi e cronici possono essere superati.

Il trattamento dei disturbi alimentari: a chi rivolgersi?

resa la decisione di farsi curare si aprono due possibilità:

  • ricorrere a centri specialistici multiprofessionali sui disturbi alimentari, spesso inseriti in strutture ospedaliere, con ambulatorio, day hospital e possibilità di ricovero;
  • ricorrere a centri specializzati nella psicoterapia dei disturbi alimentari

Il nostro consiglio è di ricorrere a centri specializzati nella psicoterapia dei disturbi alimentari per due ragioni:

  • perché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un disturbo psicologico, quindi risulta inutile e inutilmente stressante fare una quantità di esami. Inoltre sono gli stessi psicoterapeuti a suggerire al paziente e alla sua famiglia esami specifici qualora si rivelino necessari;
  • perché il percorso nei centri psicoterapeutici specializzati è personalizzato e costruito su misura a differenza di quanto accade nei centri specialistici multiprofessionali con ambulatorio, day hospital e possibilità di ricovero dove vengono seguiti protocolli standardizzati.  Proprio grazie alla personalizzazione  e alla maggiore flessibilità, il trattamento nei centri specializzati di psicoterapia è molto più facilmente accettato di buon grado dal paziente e dai famigliari e conseguentemente ridotti sono i drop out.

In presenza di complicanze mediche o quando il peso raggiunge livelli allarmanti può rendersi necessario, soprattutto per le anoressie, il ricovero in ospedale, di solito in reparti di medicina.  Durante il ricovero i curanti possono ricorrere alla nutrizione tramite sondino naso-gastrico o a volte per via parenterale.  Questi ricoveri, generalmente brevi, servano a scongiurare il pericolo di gravi complicanze o ad affrontarle, ma di regola non risolvono il problema, nemmeno quello del peso corporeo. Nelle anoressie gran parte del peso acquisito con l’alimentazione forzata  viene spesso rapidamente perso. 

Diverso è il caso delle gravi obesità per le quali la chirurgia bariatrica può portare a risultati positivi soprattutto nel breve e medio termine. Nel lungo termine (almeno 10 anni) i risultati sono molto meno soddisfacenti. Inoltre questi interventi possono avere complicanze durante l’intervento e a breve e lungo termine.

Come curare i disturbi alimentari con la psicoterapia sistemico relazionale?

Le forme di intervento psicoterapeutico sono di diverso tipo anche in rapporto all’età del paziente e al tipo di disturbo alimentari. E’ l’intervento di elezione per i disturbi alimentari nei bambini, nei preadolescenti e negli adolescenti. Le linee guida britanniche NICE ( National  for Health and Care Excellence), molto seguite anche in Italia, raccomandano la psicoterapia familiare come trattamento preferenziale per le anoressie e bulimie  infantili, adolescenziali e giovanili e il coinvolgimento della famiglia anche in in età adulta.

1. Percorsi psicoterapeutici con il coinvolgimento della famiglia

Con gli adolescenti e con i giovani adulti sono  a volte preferibili questi percorsi alla psicoterapia familiare classica. Sono stati elaborati vari tipi di format terapeutici che prevedono un percorso individuale con coinvolgimento della famiglia a livelli diversi.

2. Psicoterapia sistemica multifamiliare

Nata per il trattamento delle famiglie multiproblematiche, la Terapia sistemica multifamiliare  è anche utilizzata nel contesto pubblico per le famiglie in cui più membri soffrono di disturbi alimentari.  Il lavoro clinico con queste famiglie si attua in uno specifico setting diurno multifamiliare, con sei-otto famiglie che partecipano contemporaneamente per intere giornate e settimane. A parte alcune esperienze pionieristiche negli anni Sessanta, questa forma di terapia è stata sviluppata, a partire dagli anni Settanta da  Alan Cooklin e dal suo staff, presso il Marlborough Family Service di Londra per poi diffondersi in Europa. Anche in Italia alcuni centri pubblici offrono questo tipo di esperienza terapeutica.

3. Percorsi di terapia individuale

E’ l’intervento più utilizzato con  anoressiche e bulimiche adulte croniche. Anche con bulimiche a peso ideale  questo format è spesso utilizzato con buoni risultati. Naturalmente vengono proposte  psicoterapie individuali con vario orientamento clinico. Le più diffuse e che hanno sviluppato forme di intervento atte la specificità dei disturbi alimentare sono

  • le psicoterapie sistemiche individuali. Già  nel 1988 Selvini Palazzoli e Viaro avevano fornito linee guida per il lavoro con queste pazienti. 
  • la terapia cognitivo-comportamentale

4. Psicoterapia di gruppo

E’ un intervento particolarmente utilizzato  soprattutto con l’obesità. Anche con persone con problemi di sovrappeso che hanno tentato vanamente tante diete questo tipo di psicoterapia viene consigliata.

5. Psicoterapia di coppia

E’ un intervento preso in considerazione per anoressie, bulimie, binge eating e obesità negli adulti.

EIST è un centro psicoterapeutico specializzato nella cura e nello studio dei disturbi alimentari

La EIST offre percorsi psicoterapeutici per disturbi alimentari dalla sua fondazione. Valeria Ugazio e Maurizio Viaro effettuano terapie con pazienti anoressiche e le loro famiglie dall’inizio degli anni Ottanta. Gli altri colleghi dell’equipe sui disturbi alimentari – Lisa Fellin, Manuela Genchi, Lisa Lever  – hanno fatto esperienza estensive con i disturbi anoressici, bulimici e obesità anche in centri multiprofessionali ad hoc, come  Centro per i  disturbi alimentari dell’Ospedale Niguarda di Milano e l’Istituto Auxologico con sede a Piancavallo e a Milano.

La EIST offre percorsi di:

  • Terapia familiare: soprattutto per bambini e prepuberi con  tutti i disturbi alimentari  e con adolescenti
  • Percorsi alternati: secondo un protocollo elaborato da Valeria Ugazio (2013; 2019)  che inizia con una consultazione familiare, seguita da un lavoro terapeutico con la paziente che può includere sedute familiari su temi specifici e si conclude con tutto il nucleo. Questa forma di intervento è utilizzato prevalentemente con adolescenti e giovani anoressiche o bulimiche.
  • Psicoterapia individuale: soprattutto con  anoressie e bulimie croniche in persone adulte. 
  • Psicoterapie di coppia: soprattutto con anoressie, bulimie e obesità insorte in età adulta

Tutti i percorsi psicoterapeutici sono preceduti da una consultazione (da 2 a 4 incontri a seconda delle situazioni) in cui viene fatta una valutazione personalizzata del problema alimentare e della situazione entro cui si è sviluppata  e viene concordato con il paziente ed eventualmente la sua famiglia il tipo di trattamento più idoneo.

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