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Quando l’anoressia nervosa diventa cronica?

L'anoressia nervosa è un problema sempre più frequente che colpisce le giovani donne, ma an-che chi ha più di 40 anni. Scopri una nuova terapia e metodo di cura.

Nel 20% dei casi i sintomi di anoressia nervosa e bulimia persistono nel tempo e una prognosi precoce si fa analizzando il peso minimo raggiunto (BMI =< 15, le forme miste anoressia/bulimia o bulimarexia), uno scarso livello di funzionamento sociale premorboso, il fallimento o l’interruzione dei trattamenti intrapresi e l’appartenenza al sesso maschile.

Questi casi sono variamente denominati come forme di anoressie croniche, o gravi e di lunga durata. Anche il limite di tempo oltre il quale vadano considerate tali è controverso, variando dai 5 ai 10 anni.

Anoressia nervosa: cosa fare quando la famiglia non collabora?

Oggi alcuni centri di riferimento per i DCA hanno programmi integrati intensivi, spesso di tipo residenziale, specifici per queste pazienti, che spesso prevedono il coinvolgimento della famiglia, di tipo psicoterapeutico o psicoeducazionale. Tuttavia, la famiglia non sempre può o vuole accettare, proprio nelle forme croniche di anoressia nervosa che non raramente approdano ai centri residenziali dopo il fallimento di altre psicoterapie.

Negli anni ’80, Mara Selvini allestì insieme con me un programma specifico di terapia individuale per queste pazienti che soffrivano di anoressia nervosa, che io attuai con pazienti da lei inviati. Questa esperienza, oggi superata, ha rappresentato un punto di partenza per uno schema di terapia individuale sistemica applicabile, con opportuni adattamenti, a un’ampia gamma di disturbi.

Del metodo originario di trattamento rimane una traccia non del tutto dimenticata in due articoli pubblicati su Family Process da Mara Selvini e dal sottoscritto, negli anni ‘80. Se sei interessato a conoscere la storia di questa esperienza fino ai suoi sviluppi attuali, leggi questa pagina.

La storia che ha inizio nel 1980, quando Mara Selvini e Giuliana Prata, da poco separatesi da Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin, decisero di trattare solo famiglie e tutte le famiglie, senza eccezioni, secondo un metodo standard. Tale metodo, inizialmente presentato come ‘nuovo metodo’, successivamente ribattezzato ‘prescrizione invariabile’ era in gran parte basato su una serie di prescrizioni, uguali per tutti i casi. Anzi, tutta la terapia seguiva un piano prefissato fin dall’inizio. Dopo le sedute familiari congiunte, la terapia proseguiva con i soli genitori, ai quali veniva chiesto di eseguire una serie fissa di prescrizioni nell’intervallo tra le sedute. Era prevedibile e previsto che non tutte le famiglie fossero disponibili a intraprendere o a proseguire dopo le prime sedute.

La notorietà di Mara Selvini era però largamente basata sulle sue pubblicazioni sull’anoressia mentale, prima ancora che sulla sua attività come terapeuta sistemica e familiare. I colleghi indirizzavano quindi queste pazienti – molte delle quali con storie cliniche di anni – non tanto a un centro di terapia famigliare, quanto a un gruppo la cui leader era ritenuta un’autorità nel trattamento dell’anoressia. Questo invio rappresentava non raramente una sorta di ‘ultima spiaggia’ per queste pazienti.

Tra le persone che vi si rivolgevano, non mancavano quindi anoressiche croniche, che in molti casi presentavano forme miste di anoressia nervosa/bulimia da molti anni ormai. Queste pazienti avevano per lo più al loro attivo uno o più trattamenti psicoterapeutici falliti ed erano considerate avviate sulla via di una cronicità, da gestire in un’ottica di riduzione del danno, soprattutto sotto il profilo internistico. Alcune di loro si rivolgevano al centro autonomamente, proprio perché non accettavano tale definizione.

Storie di anoressia nervosa: testimonianze ed esperienze reali

Corinna, una simpatica ragazza toscana di 22 anni, anoressica dall’età di 15, si presentò da sola al Centro chiedendo una terapia per sé. Alla domanda sul perché si presentasse ad un centro per la terapia della famiglia chiedendo una psicoterapia individuale, rispose: ‘mi dà molta noia il fatto che in famiglia l’interesse per il mio caso sia scemato, soprattutto da quando i miei si son sentiti dire che tentare altre psicoterapie sarebbero stati soldi buttati’.  
La speranza di Corinna era di avere un parere autorevole da contrapporre al precedente, che inducesse i familiari a cambiare atteggiamento e magari a tentare la via della terapia familiare. Corinna non fu ricevuta da Mara Selvini, nemmeno per una consultazione: la professoressa accettava solo famiglie. Da questo e altri casi simili nacque l’idea di proporre una terapia individuale che adottasse lo stesso modello delle terapie familiari in sperimentazione.

Il ‘nuovo metodo’ di trattamento per anoressie nervose presupponeva che un sistema potesse essere modificato agendo tramite prescrizioni solo sul sottosistema dei genitori, senza la paziente, presente solo nelle due sedute di consultazione con tutta la famiglia. Si trattava di estendere questo principio e contemporaneamente in parte capovolgerlo: la terapia familiare si sarebbe potuta fare anche se il sottosistema fosse costituito dalla sola paziente. Da un punto di vista sistemico, se fosse cambiata la paziente, la famiglia non avrebbe potuto non modificarsi in qualche misura. La tecnica di conduzione di seduta e le prescrizioni furono ovviamente adattate al contesto individuale. Il metodo di lavoro sviluppato che presupponeva l’esperienza di terapia con la famiglia secondo il ‘nuovo metodo’.

Nel corso di due sedute di consultazione individuale con la paziente, il terapeuta chiariva i presupposti e i limiti di quanto egli poteva fare. In primo luogo, accettando la definizione di cronicità, non avrebbe focalizzato l’attenzione sul problema alimentare, di cui non ci si sarebbe occupati. Ciò che il terapeuta poteva fare, era mettere a disposizione della paziente la propria esperienza di lavoro con le famiglie, soprattutto nel lavoro con la sola coppia dei genitori.

           
 Molti genitori, sotto il vincolo stretto e non revocabile della riservatezza, erano spesso stati disposti a rivelare cose che mai avrebbero detto in presenza della figlia. Queste rivelazioni si erano rivelate illuminanti per i terapeuti, che avevano sempre lavorato in seduta familiare congiunta, presente la paziente. Sulla base di questa esperienza il terapeuta avrebbe potuto intuire aspetti della vita familiare che si sarebbero rivelate utili anche per la paziente. In ogni caso, doveva essere chiaro che il terapeuta rinunciava a tentativi per indurla a mangiare di più: se era ancora possibile che qualcuno modificasse il suo comportamento alimentare, era solo la stessa paziente.
           

In un arco di tempo di quasi 10 anni, 15 pazienti croniche accettarono questa proposta, e alcune di loro ne ebbero benefici duraturi, anche sotto il profilo della condotta alimentare. Tuttavia, il lascito forse più importante di questa esperienza è costituito dal fatto che rappresentò il punto di partenza per sviluppare un approccio sistemico alla terapia individuale. La rivista ‘Terapia Familiare’, in un numero speciale del 2013, incluse la prima presentazione del metodo tra gli articoli italiani più significativi pubblicati dalla rivista, sin dalla sua fondazione. Questo numero speciale fu poi pubblicato come volume dal titolo ‘Le parole dei maestri’.
 L’idea di adottare un modello familiare specifico per un tipo di disturbi come guida per il trattamento individuale venne poi estesa ad altri disturbi considerati nel contesto familiare, con opportuni adattamenti. Oggi, il modello delle polarità semantiche proposto da Valeria Ugazio fornisce una guida che consente di allargare l’intervento individuale alle principali casistiche non psicotiche e a diverse fasce d’età.

Si può soffrire di anoressia nervosa a 40 anni?

Tipicamente, l’età d’esordio dell’anoressia nervosa e di altre forme di anoressia è dopo i 12 ed entro i 20 anni o poco più, con un doppio picco di frequenza a 14 e 18 anni. Tuttavia, nel tempo si è registrato un aumento di casi a insorgenza più tardiva, fino ai 40 anni e oltre. Talvolta la sintomatologia conclamata si manifesta su uno sfondo di un disturbo alimentare preesistente in forma subclinica. Altre volte, insorge acutamente in seguito a una situazione traumatica

Testimonianze ed esperienze reali di anoressie

Mirella è un’insegnante di 45 anni che chiede una psicoterapia. In pochi mesi, ha perso 12 chili e presenta un quadro di anoressia restrittiva e deflessione dell’umore. Originaria del napoletano, descrive il padre come tipico ‘uomo del sud’. Separandosi dal marito, come vorrebbe fare per unirsi all’uomo con cui ha una relazione da anni e che ama, darebbe un grande dolore al padre. Per far cosa approvata da lui si era sposata e per non fare cosa che lui non potrebbe mai approvare non può lasciare il marito. Questo è il suo problema, come lo definisce al momento della richiesta.

Il padre di Mirella, stabilitosi in una cittadina della Lombardia qualche anno dopo il matrimonio per motivi di lavoro, è tuttora legatissimo al numeroso clan costituito dalla famiglia d’origine. Motivo di vanto, che spesso ripete è che ‘nessun matrimonio nella mia famiglia è mai finito con una separazione’.
 Mirella era la prima dei 3 figli, allevati nell’osservanza stretta di quelli che il padre riteneva principi quasi sacri: la religione, la famiglia e l’impegno sul lavoro. Nei confronti delle prime due figlie, femmine, esercitava un controllo strettissimo. Uscite, frequentazioni e spostamenti erano ammesse solo sotto sorveglianza.

Mirella, la prima non solo per ordine di nascita, aveva sin da bambina dedicato ogni suo sforzo per incarnare i principi paterni. La corona di figlia prediletta che s’era guadagnata in tal modo era tuttavia pesante: uscì da sola per la prima volta soltanto dopo il matrimonio, a 19 anni. Conseguito il diploma magistrale, si era infatti subito sposata con Mario, fidanzato con lei dai 14 anni, figlio di amici di famiglia nonché unico amico d’infanzia di sesso maschile.

Entrata come insegnante nella scuola, Mirella divenne presto un punto di riferimento anche nel plesso dove lavorava. Oltre alle ore d’insegnamento, si impegnava in molti progetti affiancando poi la dirigente scolastica in qualità di vicepreside. In parrocchia era attiva con il marito, con il quale formava una specie di coppia esemplare, soprattutto nelle attività con i bambini. Si iscrisse all’università per conseguire la laurea, progettando di tentare il concorso per dirigente scolastica.

Nel tempo libero, coltivò la propria passione per il canto iscrivendosi a un coro, dove divenne voce solista. Grazie a queste molteplici attività, era finalmente libera di stare fuori casa tutto il giorno, rincasando la sera, poco prima del marito.

Mario, dal canto suo, di tanto in tanto si lamentava del poco tempo che la moglie dedicava alla vita di coppia ma, innamoratissimo, non ne faceva una questione per cui valesse la pena litigare. Alle pur flebili lamentele del marito, Mirella reagiva con estrema fermezza. Per lei era fondamentale non fare le cose al massimo dell’impegno e tutto ciò cui si dedicava aveva scopi nobili: non accettava quindi limitazioni. Per Mirella, il minimo cedimento su questo punto sarebbe stato fare il primo passo verso la condizione di amorevole prigionia in cui era cresciuta e da cui si era liberata. D’altro canto, voleva sinceramente bene al marito, di cui si prendeva cura e coccolava teneramente come un amato fratello. L’ amore era fraterno anche nei rapporti intimi, infrequenti e frettolosi. Non avevano figli né fatto molto per averne o per capire perché non venissero.

 Non passarono molti anni prima che Mirella cedesse alla corte di Mauro, un collega più anziano di quasi quindici anni. Come lei sposato, a differenza di lei, Mauro aveva due figli. La loro relazione, fatta di fugaci incontri rubati, attraversò i decenni senza che Mario né altri sospettassero di nulla. Mirella però si sentiva libera e felice, per nulla in colpa: aveva da sempre fatto tutto per gli altri e le poche ore che passava con Mauro erano la sola cosa che faceva per se stessa. Riusciva infatti a compiacere gli uomini importanti della sua vita, limitando le pretese dell’uno (Mario) in nome dei diritti dell’altro (il padre) o di principi superiori come la dedizione al lavoro o la fede.

Questa complessa costruzione inaspettatamente crollò. La moglie di Mauro morì dopo una breve malattia, i suoi due figli ormai grandi uscirono di casa. Mauro, in previsione della pensione, chiese prima e pretese poi che Mirella decidesse di separarsi da Mario. Non avevano figli, e Mauro non voleva né sapeva vivere da solo. Se Mirella non avesse lasciato il marito, sarebbe stato costretto suo malgrado a cercare un’altra compagna.

Incalzata da tali insistenze, Mirella crollò: depressa e preda di crisi di pianto anche in pubblico, non riusciva più a mangiare. In pochi mesi, perse ben 12 chili e chiese una terapia. Le amiche al corrente della sua situazione l’incitavano a coronare il suo sogno d’amore con Mauro. Mirella, tuttavia, non sapeva o non poteva decidersi a un simile passo, che avrebbe significato distruggere l’immagine che con tanta fatica aveva costruito agli occhi di tutti. Inoltre, vivere con Mauro significava rischiare di cadere di nuovo prigioniera del rapporto e del potere di un solo uomo.

Applicando il modello interpretativo delle polarità semantiche, la vicenda di Mirella può essere letta utilizzando due dimensioni di significato prevalenti, strettamente intrecciate: libertà e potere. Le relazioni con gli uomini venivano sentite da lei come sottomissione al potere maschile e intollerabile limitazione della sua libertà. Per la maggior parte della vita, era riuscita a trovare un modo di vivere che le consentiva di primeggiare accontentando in questo modo il padre e compiacere le aspettati in apparenza, in realtà sfuggendo al loro controllo.
I sintomi alimentari, già transitoriamente frequentati in adolescenza, rendevano palese il suo stato di sofferenza, e vennero riscoperti ora in età adulta. Il problema terapeutico si poneva nei termini di aiutare Mirella a trovare una via d’uscita che le consentisse da un lato di mantenere i rapporti per lei fondamentali senza pagare il prezzo della sottomissione a un uomo – incluso il terapeuta – e di una rinuncia alla propria libertà. Le prescrizioni da mettere in atto con i diversi attori della vicenda ebbero un ruolo fondamentale nell’aiutarla a percorrere questa via, contrastando una situazione di anoressia nervosa di lunga data.

Questo esempio mostra che un modello familiare può servire come guida interpretativa in un trattamento individuale. Inoltre, illustra il caso, oggi non infrequente, di una sintomatologia anoressica che insorge (o si ripresenta) dopo i 40 anni.

La Bulimia Nervosa è un disturbo del comportamento alimentare caratteristico dei paesi occidentali. In Italia, la sua prevalenza è, secondo un’indagine condotta dall’Università di Padova (Favaro, Ferraro & Santonastaso, 2003) , del 4,6%, molto più dell’anoressia che è stimata nell’ordine del 2%.

Cos’è la bulimia? (significato e definizione)

La bulimia è caratterizzata da abbuffate periodiche cui seguono vomito e/o comportamenti cosiddetti di eliminazione tesi a evitare aumenti di peso, come sedute intensive di ginnastica, uso di lassativi e diuretici. 

Ma immagino che tu non ti accontenti di definizioni che puoi trovare da molte parti.

Approfondiremo quindi l’argomento analizzando insieme le differenze fra bulimia e altri disturbi alimentari.

La differenza tra bulimia, anoressia e gli altri disturbi alimentari

La parola bulimia significa “fame da bue“. Il suo significato è quindi opposto a quello di anoressia che vuol dire “mancanza di fame“. Ma le parole a volte ingannano e non corrispondono propriamente ai fatti. 

Una ragazza anoressica, come abbiamo già avuto modo di approfondire in una articolo sull’anoressia dedicato, è lungi dal non sentire la fame. Piuttosto, è impegnata in una lotta incessante contro il desiderio di mangiare, che nega a parole, in preda al terrore di ingrassare. 

Ciò che accomuna  bulimia e anoressia è il timore delle pazienti che, iniziando a mangiare, non sarebbero capaci di fermarsi più. L’anoressica vince questa battaglia contro la fame, la bulimica la perde e così inizia a mangiare e non si ferma più. Questa è, in estrema sintesi, la differenza forse maggiore, certamente non l’unica, tra anoressia restrittiva e bulimia. 

Anoressia e bulimia  debbono essere considerate  come gli estremi di un continuum che ammette numerose varianti e forme intermedie, più che come due categorie distinte. La facilità con cui una condizione può subentrare all’altra ne è la dimostrazione. Accade, infatti, frequentemente che l’anoressia restrittiva si trasformi in bulimia. Una percentuale davvero piccola di casi ha un viraggio dalla bulimia all’anoressia.

A volte questo passaggio avviene passando per una fase intermedia, detta anoressia con condotte di eliminazione. In questi casi, sono soddisfatti i criteri dell’anoressia nervosa ma la riduzione dell’apporto alimentare è incostante e si associa al vomito come ulteriore mezzo di controllo sul peso.

In  altri altri casi, la bulimia non si accompagna al vomito autoindotto ma all’obesità, che alle periodiche abbuffate consegue inevitabilmente. Nella terminologia psichiatrica si parla allora di disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder).

Talvolta, l’ingestione di alimenti in eccesso avviene nelle ore notturne, dopo la cena. La tendenza attuale alla proliferazione delle distinzioni nosografiche ne ha fatto una categoria a se stante – la cosiddetta Night Eating Syndrome . Si tratta di una  distinzione ulteriore  rifiutata da molti addetti ai lavori. Anche noi non sentiamo proprio l’esigenza di questa ulteriore sindrome. 

Ciò che accomuna queste diverse condizioni è la connessione sul piano psicologico tra alimentazione, aspetto esteriore e stima di sé. 

Ciò che differenzia i diversi quadri clinici e sintomatologici è il modo in cui questa tematica viene gestita dal soggetto e dal suo ambiente.  

L’anoressia restrittiva è associata ad una lotta vittoriosa contro il corpo e le sue esigenze, e non stupisce che l’erotismo e la sessualità non abbiano grande parte nella vita di queste pazienti. 

L’opposto vale per le ragazze bulimiche, che sono di solito sessualmente attive e non raramente hanno subito molestie o abusi sessuali in età precoce. Non ti stupirai che anche la sessualità, come l’alimentarsi, sia spesso vissuta come una svalutazione di sé.

Bulimia: quali sono i sintomi?

Non devi pensare che chi ha una “fame da bue” sia semplicemente una persona che divora abitualmente grandi quantità di cibo. Le “abbuffate” periodiche che, pur con molte varianti caratterizzano questa condizione, richiedono una sorta di ritualizzazione.  

L’abbuffata è solitamente preceduta da una fase di preparazione e pianificazione, che inizia con la scelta e acquisto di certi tipi di cibo, in grandi quantità. Non meno importanti sono l’individuazione o la disponibilità di un luogo e momento adatti. La solitudine è condizione pressoché necessaria. La ragazza bulimica, infatti, prova vergogna per il suo disturbo e fa il possibile per nasconderlo.

Una volta iniziato a mangiare, l’impossibilità di fermarsi è contrastata solo dall’impossibilità di ingerire altro cibo. Il vomito che segue costituisce l’epilogo di questa specie di rito. Gli effetti sul piano psicologico sono sentimenti di colpa, umiliazione e disgusto verso se stessa. 

Anche se in modo meno costante, nei giorni successivi all’abbuffata subentra un periodo di restrizione alimentare più o meno severa (o altre cosiddette “condotte di eliminazione” diverse dal vomito, come ad esempio sedute di ginnastica intensiva in palestra, uso di lassativi o diuretici), che crea le condizioni per la successiva abbuffata.

Nei casi in cui la frequenza degli episodi bulimici non è eccessiva, spesso il peso si mantiene nella norma e l’aspetto esteriore non ne risente. Bulimiche a peso ideale o normale sono tutt’altro che infrequenti.

Si può parlare di Bulimia senza attacchi di vomito?

Sì, in alcune forme di bulimia le “abbuffate” sono seguite da altri comportamenti tesi ad evitare l’aumento di peso come ad esempio programmi intensivi di ginnastica

Ortensia, una giovane donna di 32 anni passava ormai da cinque anni dalla taglia 44 alla 38  senza mai vomitare. Alternava periodi di abbuffate ad altri in cui dedicava dalle cinque alle otto ore a ginnastica, corsa, nuoto e tennis. A causa di queste attività  tese ad eliminare i danni delle abbuffate, aveva abbandonato il proprio lavoro e si limitava a svolgere qualche incombenza segretariale per lo studio professionale del padre. Quando raggiungeva la taglia trentotto si sentiva molto soddisfatta di sé e diventava sessualmente attiva seducendo uomini che poi eliminava in modo drastico dalla propria vita. Queste rotture non erano dovute a comportamenti inappropriati o indesiderati messi in atto dagli amanti ma erano stati pianificati da Ortensia preventivamente. Quando raggiungeva la taglia 42 o peggio 44 si sentiva in forte disagio e non frequentava più nessuno, né amanti né amici. Anche in palestra, sui campi da tennis e nelle altre attività sportive evitava quanto più possibile contatti social finché raggiungeva almeno la taglia 40.

Il disturbo di Ortensia viene anche denominato “sindrome yo yo“. Ritroviamo comunque il ricorso compulsivo alla ginnastica e ad altre attività sportive,  spesso accompagnato da uso di lassativi, dopo abbuffate , anche in molte bulimiche che mantengono costantemente un peso ideale o normale.

Bulimia: quali sono le cause?

Meno facile è risponderti se domandi quali sono i fattori causali della bulimia. 

Le caratteristiche di questo disturbo rimandano alla cultura.

L’immagine esteriore di sé – come io penso che gli altri mi giudichino per il mio aspetto – condiziona nelle bulimiche in modo determinante il livello di autostima. 

Analogo indizio sull’importanza dei fattori culturali può essere attribuito al fatto che l’inserimento della bulimia tra i disturbi mentali è recente. Il DSM III del 1980 è, infatti, il primo manuale di psichiatria ad includere la categoria della Bulimia Nervosa. In precedenza, alterazioni dell’appetito, in eccesso come in difetto, erano considerate per lo più come sintomi all’interno dei disturbi dell’umore o di altri disturbi. 

Inoltre solo in Occidente la bulimia, come l’anoressia, ha una grande diffusione, rappresenta un problema sociale e ha dato origine a strutture e a trattamenti specifici. 

Devi sapere che descrizioni di abitudini alimentari sovrapponibili alla bulimia sono presenti nella letteratura non psichiatrica addirittura da millenni. È ben noto che nei banchetti della Roma imperiale i commensali ingerivano grandi quantità di cibo, che poi vomitavano per poter continuare a mangiare. 

La differenza, peraltro sostanziale, con la bulimia risiede nella modalità con cui questi comportamenti sono vissuti da chi li agisce e dal contesto sociale.

Chi si abbuffava nei banchetti luculliani della Roma imperiale non si appartava vergognandosene, perché quella condotta era una consuetudine conviviale socialmente approvata, quindi praticabile e praticata in pubblico. Anche il cattolicissimo re di Spagna, nonché Sacro Romano Imperatore, Carlo V d’Asburgo, sul cui impero come saprai non tramontava mai il sole, era solito indulgere a pasti pantagruelici ingurgitando il cibo senza nemmeno masticarlo, a dispetto del fatto che il peccato di gola fosse considerato dalla Chiesa Romana uno dei vizi capitali. 

La bulimia può essere ed è stata considerata prima un’attività conviviale socialmente approvata, poi un vizio e un peccato da menzionare in confessionale, per approdare solo dal 1980 in poi nel gruppo formato non da molto dei Disturbi del Comportamento Alimentare.

1. Le cause psicologiche: la famiglia gioca un ruolo importante

La cultura è certamente importante in questo disturbo. Tuttavia le cause psicologiche e familiari sono determinanti.

Tutte le ragazze e le giovani donne occidentali vivono in un contesto culturale dove l’aspetto fisico e la magrezza sono valorizzate, molte controllano l’alimentazione anche attraverso diete e attività fisica per mantenere un peso desiderabile e un aspetto piacevole. Solo una minoranza diventa bulimica. 

Come le anoressiche, le pazienti bulimiche vivono in famiglie dove secondo Ugazio (1998, 2012, 2018) prevale la semantica del potere.

Si tratta di famiglie in cui ci sono vincenti, intesi come membri della famiglia che, grazie alla loro determinazione e al loro impegno, hanno successo economico e professionale, mentre altri sono perdenti: la loro incapacità di farsi valere e incostanza li consegna alla sconfitta. In queste famiglie “il confronto con i criteri di riuscita e i conflitti competitivi che ne conseguono, guida sia le relazioni interne al nucleo, sia quelle con la parentela “(Ugazio, 2012). Conseguentemente “la lotta per la definizione della relazione è argomento costante della conversazione in queste famiglie. L’oggetto del contendere, i “contenuti” del conflitto sono di regola irrilevanti, mentre chi abbia la supremazia  (oneupmanship) è ciò che conta”(ibidem). 

Anche la bulimica, soprattutto a peso ideale, prima dell’esordio sintomatico, spesso si colloca, come la futura anoressica, o aspira a collocarsi nel polo vincente. Tuttavia il positioning delle bulimiche che precede l’esordio sintomatico è molto più vario di quello delle anoressiche.

Per le bulimiche il genitore preferito, che solitamente le disillude, è il padre, spesso in posizione vincente. La madre in queste famiglie è per lo più in posizione di inferiorità rispetto al marito. E’ questa una differenza importante con le  anoressiche per le quali il legame più importante è di regola la madre o altra figura accudente  che occupa una posizione di rilievo  in famiglia ed è determinata.

Questa configurazione relazionale dove il padre è in posizione dominante o comunque superiore rispetto alla madre sembra caratteristica soprattutto le famiglie delle bulimiche che mantengono un peso ideale.

“Tentando di mantenere il corpo in un’eterna adolescenza, le bulimiche a peso ideale, respingono l‘identificazione con la madre: loro non si lasciano andare come la loro madre, non si rassegnano di fronte alle prevaricazioni, non cedono alla propria passività, ma lottano strenuamente contro la propria debolezza e arrendevolezza” (Ugazio, 2012).

2. Bulimia e depressione: c’è un nesso tra le due?

Diverse ricerche evidenziano questo nesso. Il fatto che non raramente i casi di morte nelle pazienti bulimiche siano dovuti a suicidi sembrerebbe suggerire una connessione fra bulimia e disturbi depressivi e dell’umore.

Un’associazione forse non meno frequente è con il Disturbo Borderline di Personalità.

Infine, l’abuso di sostanze si accompagna non raramente alla Bulimia Nervosa.

Il senso di sconfitta che accompagna le “abbuffate” e la conseguente svalutazione di sé sono alla base dei vissuti depressivi o ne sono un’espressione.

Bulimia: quali sono le conseguenze?

Le conseguenze della bulimia possono essere diverse e a volte, se non curate, possono diventare anche tragiche.

1. A quali rischi e danni può portare?

I danni alla salute sono legati soprattutto alla pratica del vomito autoindotto. Qualora sia frequente e prolungata nel tempo può provocare pericolosi squilibri metabolici e elettrolitici. E’ quindi necessario il monitoraggio delle condizioni mediche, per la possibile presenza di complicanze.

2. Può portare anche alla morte?

Il rischio di mortalità connesso al disturbo non è paragonabile a quello dell’anoressia nervosa, mentre rischio di suicidio è presente in misura tutt’altro che trascurabile.

3. Storie di bulimia

Le storie cliniche delle ragazze bulimiche possono essere assai diverse.

3.1. Il caso di Lucia

Lucia, una graziosa ragazza di 17 anni, era in tutto e per tutto simile alle sue coetanee, anche per l’attenzione dedicata all’aspetto esteriore e alla linea. 

Questa particolarità passava inosservata in una famiglia dove la madre era da sempre ossessionata dal timore di ingrassare e di tutto ciò che poteva minacciare la sua bellezza, che riteneva leggendaria. Sin da bambina, Anna l’aveva vista di tanto in tanto intenta a procurarsi il vomito dopo un pasto troppo abbondante, tanto da considerare normale questa pratica. D’altra parte, anche il marito mostrava di ritenerla ovvia in quanto non la menzionava come problema. Di fatto, la figura della madre, centrale in famiglia, eclissava ogni problema degli altri membri, uniti in una tacita collusione nel mostrarsi ciechi di fronte alle manifestazioni della personalità profondamente disturbata della moglie e madre. 

Ciò che fece sì che qualcuno notasse qualche problema in Anna fu la frequenza, diventata via via regolare, con cui si ritirava nel bagno subito dopo aver mangiato. Nessuno ritenne però fosse necessario consultare uno specialista. Il medico, amico di famiglia, seguì Anna con consigli e raccomandazioni, limitandosi a monitorare di tanto in tanto la situazione dal punto di vista internistico. 

Alcuni anni dopo, quando ormai il disturbo di Anna si era ridimensionato nella forma di una alimentazione disordinata, una consultazione psichiatrica fu sollecitata per i sempre meno occultabili problemi della madre. In tale occasione, emerse quasi casualmente il non breve periodo in cui Anna aveva sofferto di sintomi bulimici, nonché lo stato di sofferenza psicologica che aveva sempre dissimulato dietro una facciata di normalità solo apparente, come il benessere fisico che il suo aspetto esteriore suggeriva.
Una volta lontana da casa per frequentare l’università, poté finalmente consultare uno psicoterapeuta per affrontare le proprie difficoltà, tra le quali il timore di ricadere nella bulimia come la madre occupava un ruolo non marginale.

3.2. Il caso di Erica

Non raramente, le candidate alla bulimia hanno subito esperienze di abuso sessuale all’interno della famiglia.

Il padre di Erica, un noto industriale, era anche un buon fotografo dilettante. Divenuta preadolescente, Erica divenne per un periodo la modella preferita del padre, il quale cercava di emulare un famoso fotografo di giovani fanciulle in fiore. Amava abbigliare la figlia in modo sottilmente ambiguo per fotografala in atteggiamenti allusivi ed erotizzati ma mai impudichi. 

Pur non essendo mai stata oggetto di approcci espliciti o diretti da parte del padre Erica, divenuta bulimica verso i 17 anni, ricordava in psicoterapia con grande turbamento queste sedute fotografiche. Non riusciva ancora, a distanza di anni, a capire se l’atmosfera erotizzata che avvertiva e la turbava fosse frutto di fantasie incestuose proprie o del padre. In ogni modo, il significato implicava la propria svalutazione: nel migliore dei casi, aveva rappresentato solo un oggetto su cui il padre si esercitava, senza minimamente considerare né notare il turbamento che provocava nella figlia.

Come guarire dalla bulimia? (come smettere)

La psicoterapia è sicuramente la scelta migliore data la priorità delle cause psicologiche ed anche più praticata. La possibilità di una risoluzione dei sintomi senza alcun tipo di trattamento specialistico è documentata. Tuttavia, il trattamento abbrevia i tempi e diminuisce la probabilità di esiti psicopatologici

Nei casi di precoce insorgenza, il coinvolgimento della famiglia, va privilegiato. 

Spesso è la paziente a chiedere un aiuto individuale successivamente, nel caso in cui i sintomi evolvano verso la cronicità, come nel caso in cui,  siano risoltosi spontaneamente lasciando dietro di sé un disagio più o meno profondo, non necessariamente inquadrabile entro una categoria diagnostica.Contattaci per un consulto o una psicoterapia

Anoressia Modigliani

L’anoressia è un disturbo alimentare che interessa tipicamente il sesso femminile dopo la pubertà, con due picchi a 15 e 18 anni.  

Se ancora non l’avessi fatto, ti consigliamo di leggere l’articolo sui disturbi alimentari per avere un’infarinatura sull’argomento.  

Per quelli come te, invece, che vogliono sapere di più cominciano dal nome anoressia.

Che cos’è l’anoressia? (significato e definizione)

Anoressia  significa “mancanza di appetito” (dal greco: il prefisso privativo ἀ- precede il lemma ὄρεξις, appetito). 

Ma la mancanza di appetito è precisamente ciò che non caratterizza l’anoressia.

L’anoressica, infatti, rifiuta il cibo perché non vuole, e in un certo senso non può, alimentarsi. Certamente non perché non avverta lo stimolo della fame. Ciò che spinge chi soffre di anoressia non solo a digiunare, o quasi, ma anche a praticare un’attività fisica eccessiva rispetto alle calorie che ingerisce è la paura di ingrassare

Come ha affermato Selvini Palazzoli, già nel lontano 1963, quando l’anoressia era ancora assai poco frequente: 

“A differenza che in altre malattie mentali (…) nell’anoressia il cibo in sé permane come cosa amabile, desiderabile, interessante, importante, continuamente presente allo spirito. Esso non è mai ‘veleno in sé’(…). E’ l’atto del cibarsi che è diventato pericoloso e angoscioso, l’atto del nutrirsi. Nessuna azione, neppure un delitto, assume per l’anoressica un significato di auto-degradazione e sconfitta quanto il satollarsi. Questo è divenuto sinonimo di degradazione e caduta”

Luca Mazzucchelli (ex studente EIST) intervista la nostra direttrice Valeria Ugazio, esperta di disturbi alimentari e sostenitrice della terapia sistemico-relazionale per la loro cura

L’esordio dell’anoressia: quali sono i sintomi?

L’esordio dell’anoressia può essere vario. Da una dieta iniziata per perdere qualche chilo viene eliminato gradualmente un alimento dopo l’altro. Le sollecitazioni dei genitori perché la ragazza riprenda un’alimentazione ragionevole cadono nel vuoto: c’è sempre un ultimo chilo da perdere ancora. Possono passare dei mesi prima che il peso della ragazza scenda sotto una soglia di allarme.

1. Anoressia e sintomi fisici

Spesso è l’insorgenza dell’amenorrea a rendere inequivocabile il fatto che la perdita di peso ha superato il limite. 

All’opposto, l’anoressia può iniziare improvvisamente come una specie di sciopero della fame (e qualche volta perfino della sete) con un declino rapido sul piano fisico. Oppure l’aumento dell’attività fisica è più evidente della restrizione alimentare. E’ quanto accade specialmente nelle ragazze che praticano uno sport agonistico che impone rigide norme dietetiche o dove le performances sono favorite da un fisico di tipo infantile (come la ginnastica artistica).

Tuttavia familiari ed amici a un certo punto si rendono conto che l’attività fisica è diventata invasiva: sembra essere l’unico interesse della ragazza, o quasi.

2. Anoressia e sintomi psicologici

L’umore all’inizio non risente della restrizione alimentare: anzi, spesso, più la ragazza perde peso, più dichiara di sentirsi bene. 

Tuttavia, l’interesse per le relazioni sociali diminuisce o si estingue del tutto. Questo perché la socialità è spesso connessa alla convivialità. Quindi, la ragazza sfugge a tutte le occasioni che possono indurla a mangiare.  Il focus attorno a cui ruota l’attività mentale della ragazza è il controllo del cibo, tutto il resto diventa secondario.

Anoressia: quali sono le cause?

Meno facile è soddisfare la tua curiosità sulle cause dell’anoressia.

1. L’anoressia nel mondo della moda (l’esempio negativo delle modelle)

L’ideale estetico della magrezza, incarnato dalle soventi meno eteree che scheletriche indossatrici è stato messo sul banco degli imputati. 

È certamente vero che il modello ideale di bellezza privilegia oggi la magrezza e che l’adolescente è particolarmente sensibile e ansiosa rispetto alle trasformazioni del proprio corpo, ma sarebbe riduttivo sovrastimare questo aspetto. 

L’anoressica non è una ragazza frivola che pensa solo alla linea e all’aspetto esteriore (che certamente il digiuno estremo non migliora).

2. Cause biologiche, psicologiche e sociali

La tendenza attuale della psichiatria propende per una etiologia multifattoriale, bio-psico-sociale, in cui non viene assegnata una priorità ad una componente rispetto alle altre.

La posizione della maggioranza degli psicoterapeuti e della EIST è di riconoscere alla componente psicologica un ruolo etiologico predominante. 

Per noi l’anoressia è un problema psicologico.

Anoressia | Distrubi Alimentari Psicogeni | DAP | Mara Selvini Palazzoli
Mara Selvini Palazzoli, pioniere dello studio e della terapia sull’anoressia e sui DAP

Inoltre, come Hilde Bruch, Mara Selvini Palazzoli, Salvator Minuchin – i pionieri dello studio e della terapia dell’anoressia – e gli altri psicoterapeuti che più hanno contribuito a farci capire questo disturbo e come curarlo, la EIST considera l’anoressia e le altre forme di disturbo alimentare collegate come parte di una stessa famiglia di disturbi: i Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP). 

Sebbene anoressia e obesità, ad esempio, siano opposte, hanno molto in comune come suggerisce la frequente compresenza nella stessa famiglia di entrambi i disturbi.

Anoressia nervosa o mentale (definizione, cause psicologiche e sintomi)

Proprio per l’origine psicologica dell’anoressia, essa viene spesso definita nervosa o mentale.

Rispondere alla domanda sulle cause dell’anoressia equivale allora a cercare di individuare i perché del digiuno.

1. L’anoressia e le pratiche ascetiche

Le prime descrizioni dell’anoressia come entità morbosa risalgono alla fine del XIX secolo.

Tuttavia, c’è chi ha notato che l’anoressia risale al medioevo. Alcune sante del medioevo, se considerate dal punto di vista psichiatrico d’oggi, soddisfano pienamente i criteri diagnostici per l’anoressia. 

Nel medioevo cristiano il digiuno faceva parte di pratiche ascetiche volte a elevare lo spirito liberandolo dalla prigione del corpo e dai desideri della carne. Il digiuno o regole dietetiche restrittive sono parte di tutte le pratiche ascetiche, presso culture anche molto diverse tra loro. 

Ciò che differenzia le “sante anoressiche” del medioevo dalle malate di anoressia sono i motivi alla base del digiuno oltre al modo in cui il contesto culturale considera questa condizione.

Anche se non si può dire certo che le anoressiche digiunino per questo motivo, certamente il desiderio di elevarsi intellettualmente e spiritualmente non è loro estraneo.  

Come probabilmente saprai, il rendimento scolastico delle anoressiche è di solito ben al di sopra della norma e, prima dell’insorgenza dei sintomi alimentari, incarnavano spesso un certo modello di figlia ideale.

2. L’anoressia e il ruolo delle relazioni familiari e interpersonali

Un altro tipo di digiuno ben noto è il digiuno per protesta

Protesta tipicamente non violenta, che getta il biasimo su qualcuno, sottolineando la propria superiorità morale.

I digiuni di Gandhi avevano un potente effetto proprio perché il destinatario – l’Impero britannico – si proponeva e giustificava il proprio dominio in quanto portatore di civiltà, come i lettori di Kipling sanno.

Protesta e accuse non dichiarate sono presenti anche nell’anoressia. Per molto tempo la principale, se non la sola imputata di questa tacita accusa, anche da parte degli psicoterapeuti, è stata individuata nella madre dell’anoressica.

Molti Autori hanno sottolineato  la presenza fra madre e figlia di  una sorda lotta dove il controllo delle calorie è il terreno dove si combatte una battaglia che ha altre motivazioni, mai dichiarate.

Per la verità il padre, e di regola fratelli e sorelle, sono oggetto di analoghe battaglie, dove la volontà di vincere la battaglia contro la fame diventa tutt’uno con la volontà di vincere la battaglia prima di tutto contro di loro.

Se ogni benevola sollecitazione dei familiari affinché la figlia si nutra in modo più ragionevole è inutile, non lo è di meno far presente ai familiari che le loro assillanti ed esagerate pressioni perché la figlia mangi un boccone in più sono inutili e controproducenti.

In questa lotta, ogni sotterfugio è lecito da una parte per inserire di nascosto nei cibi della ragazza qualche caloria in più e dall’altra per sventare l’inganno o smaltire con ginnastica supplementare, o altri mezzi, quello che è forzata a ingerire o sospetta di esserlo stata.

Anoressia: confronto competitivo e ipercriticismo nelle relazioni familiari

L’ambizione di primeggiare, così evidente in chi soffre di anoressia, non nasce dal nulla. Il confronto competitivo con gli altri e l’ipercriticismo sono spesso un valore e un atteggiamento condivisi in famiglia come messo in evidenza soprattutto  da Selvini Palazzoli (1963, 1981) e Ugazio (1998,2012,2018) .Spesso sono proprio entrambi i genitori o uno di loro a portare avanti con i fatti e con le parole l’importanza della competizione per il successo e l’immagine sociale. La competizione non è esercitata soltanto all’esterno della famiglia, ma anche all’interno.

“La lotta per la definizione della relazione – afferma Ugazio (1998) – è argomento costante della conversazione delle famiglie dove si sviluppa l’anoressia. L’oggetto del contendere, i «contenuti» del conflitto sono di regola irrilevanti, mentre chi abbia la supremazia (one- upmanship) è ciò che conta”  E ancora  “il confronto, con i criteri di riuscita e i conflitti competitivi che ne conseguono, guida nelle famiglie in cui si sviluppa l’anoressia sia le relazioni interne al nucleo, sia quelle con la parentela”. 

Molto spesso, più o meno copertamente, uno dei genitori considera l’altro inferiore intellettualmente e/o socialmente.  Questioni di superiorità o inferiorità riguardano tutte le differenze fra i coniugi e fra i membri della famiglia.

Per questo tutte le differenze sono bramate ma anche temute:  

“Poiché ogni definizione di sé è connotata in termini di più e di meno e dà luogo a una superiorità o a un’inferiorità rispetto agli altri, le differenze sono immediatamente colte, ma temute, negate, osteggiate, spesso ritenute illegittime. Le differenze non sono infatti al servizio della cooperazione. Al contrario, servono all’affermazione della propria superiorità di contro agli altri membri del nucleo, alla prevaricazione, o sono un indizio del proprio scacco, della propria disfatta. Per questo in queste famiglie la differenziazione individuale è ostacolata” (Ugazio 1998) 

La figlia anoressica è tipicamente superiore ai fratelli e sorelle in tutte le prestazioni, in particolare scolastiche. Anche l’attenzione alla dieta, al peso e in generale all’alimentazione ha spesso un ruolo importante in famiglia e precede l’insorgenza dell’anoressia nella paziente. 

Non sono rare le famiglie che gestiscono ristoranti, pasticcerie o rivendite di generi alimentari, oppure in cui vi è una tendenza al sovrappeso nel padre o sorella e madre sono in perenne lotta con le diete per mantenere la linea.

Perché l’anoressia si sviluppa di solito nell’adolescenza?

Anche il fatto che l’anoressia tipica insorga dopo la pubertà non avviene a caso. La tendenza a competere della futura anoressica, acquisita in una famiglia dove i confronti competitivi sono sempre presenti, fintanto che è una bambina sarà circoscritta ai fratelli e ai coetanei. Non gli mancheranno conferme e apprezzamenti da parte del genitore preferito e degli altri adulti del proprio gruppo familiare: un bambino, per quanto attraente e brillante, difficilmente viene percepito come minacciante dagli adulti. 

Con l’adolescenza in queste famiglie dove prevale quella che Ugazio (1998; 2012,2018) definisce la “semantica del potere” un equilibrio si rompe. Le future anoressiche crescendo si trovano, quasi inevitabilmente a competere con i genitori e con gli altri adulti della famiglia, semplicemente perché competere è una loro modalità caratteristica di interagire. 

Il confronto può riguardare la bellezza, l’eleganza, l’intelligenza, le capacità sportive.Poco conta quale sia il terreno su cui misurarsi, quel che  importa è chi ha la meglio. Per la verità non sono solo le future anoressiche ad essere competitive verso fratelli e sorelle e verso i genitori. Con il sopraggiungere dell’adolescenza, anche i genitori si sentono minacciati dai figli. 

Si tratta di genitori che generalmente si propongono ai figli come modelli. Spesso frustrati da un partner poco gratificante e da genitori avari di conferme trovano gratificazioni  nella rilevanza e nelle gratificazioni che i figli attribuiscono loro.

Soffrono, quindi, quando si accorgono dell’importanza che ora assumono per i loro figli insegnanti, allenatori sportivi, genitori di loro fidanzati o amici. Si risentono e spesso si offendono quando l’adolescente si entusiasma per idee, forme di comportamento, svaghi, letture, interessi  diversi dai loro che la ragazza apprende attraverso  frequentazioni autonome. Tutti questi comportamenti deludono, come ha messo in evidenza Guidano (1987) la futura anoressica e contribuiscono all’esordio dell’anoressia.

Storie di anoressia: testimonianze ed esperienze reali

Due brevi cenni a due casi di anoressia ti aiuteranno a farti un’idea delle dinamiche di queste famiglie.

1. Il caso di Sabina, una diciassettenne anoressica tra carnivori e vegetariani

Bracci di ferro, teste che devono chinarsi, conflitti e confronti competitivi occupano la scena non appena entriamo in contatto con la famiglia di Sabina, una diciassettenne anoressica, figlia unica di genitori che più diversi non potrebbero essere.

Il padre è un bell’uomo, robusto, che lavora nell’azienda agricola familiare, carnivoro come tutti i suoi fratelli con cui si trovano spesso per pranzi in cui non mancano mai costate, prosciutti e cotechini.

La madre, una forbita avvocatessa, è vegetariana e così minuta e magra, da sembrare incorporea . 

“E’ da  tre anni che volevo telefonarvi, perché ho capito subito che si trattava di anoressia” –  afferma la madre nella telefonata che precede il primo incontro – “ma ho aspettato che Sabina abbassasse la testa e riconoscesse di avere un problema , altrimenti che senso ha fare una terapia?”.  

Stiamo ancora raccogliendo le informazioni durante la prima seduta quando Sabina scoppia a piangere. 

La ragazza si lamenta: a differenza di sua cugina, non è intelligente. Ottiene bei voti perché si ammazza dallo studiare e finirà come sua zia, a cui vuole un grande bene – è la sua seconda madre – ma è una semplice impiegata comunale, a differenza di sua madre che è intelligente ed ha una professione prestigiosa. 

Ma perché mai tanta disperazione visto che Sabina ha risultati scolastici brillanti?

Per il papà queste sofferenze sono la conseguenza della brutta abitudine di sua moglie – non menziona la colpevole, ma lo sguardo non lascia dubbi – di fare confronti.  

Per la madre, invece, il problema è che la figlia non si sente alla sua altezza. Sabina soffre, secondo lei, perché non è naturalmente portata allo studio come invece lei è sempre stata. Sabina deve fare inoltre strenue battaglie con il cibo perché non è biologicamente magra come lei, che da quando è nata non ha mai mostrato interesse per il cibo.

In questa famiglia la madre è in posizione vincente, mentre il padre è in posizione di inferiorità.

2. Il caso di Gioia, una ragazzina anoressica di 15 anni con  genitori  che lottano strenuamente per collocarsi tra i “vincenti”

In altre famiglie prevalgono configurazioni diverse dove i vincenti non sono né madre, né padre ma si trovano nella famiglia estesa del padre.

Il padre di Gioia, una ragazzina di 15 anni, è primario medico in un ospedale di una cittadina di provincia. Da sempre in competizione con i due fratelli, è tuttavia il meno affermato nella professione che li accomuna. Nella visione del clan familiare, chi pratica la medicina occupa il vertice della specie umana. 

La moglie conserva tracce di una bellezza che la mitologia familiare ritiene leggendaria. Di estrazione sociale inferiore al marito, pur lavorando e mettendo al mondo tre figli, è riuscita, grazie alla sua determinazione, persino a laurearsi in età matura per essere all’altezza del marito e del clan di quest’ultimo. Ma questo non le è servito a guadagnare né la stima della famiglia del marito né la fedeltà di quest’ultimo.

In famiglia tutti sanno – anche se tutti fingono di non sapere – che il padre tradisce regolarmente la moglie, forse per ristabilire una superiorità minacciata proprio dai tentativi di ascesa culturale della donna.  

Gioia è l’ultima nata dei tre. Quando era piccola e la primogenita Serena era già quasi adolescente, la madre era impegnata per il conseguimento della sua laurea che purtroppo non le ha permesso di guadagnare una posizione superiore in famiglia. 

Serena è stata la persona che l’ha sostituita in gran parte nell’accudimento di Gioia. L’anoressia insorge quando la sorella maggiore, che era sempre stata abbastanza generosa di conferme verso Gioia e che vantava successi accademici degni degli zii, si prepara a trasferirsi a Milano per una specializzazione e per convivere con il fidanzato. Gioia si trova a tu per tu con una madre e un padre, di certo non particolarmente apprezzati perché visti con gli occhi della sorella e tanto più competitivi perché frustrati.   

Non devi pensare ovviamente che tutte le ragazze anoressiche e le loro famiglie siano come quella di Sabina o di Gioia. Le varianti sono nella realtà clinica più numerose dei casi tipici e in progressivo, continuo aumento. Descrivere casi esemplificativi prototipici ha però il vantaggio di proporre un quadro ideale che, pur ammettendo innumerevoli varianti, offre un quadro unitario non tanto dal punto di vista descrittivo quanto del significato dei sintomi e delle ragioni coinvolte nella loro genesi.

Anoressia: alcuni libri che ti consigliamo di leggere

Se vuoi sapere qualcosa di più sulla dinamica familiare connessa allo sviluppo dell’anoressia ti consigliamo di leggere:

Mara Selvini Palazzoli: L’anoressia Mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare. Milano: Cortina, 2006

1. Mara Selvini Palazzoli: L’anoressia Mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare. Milano: Cortina, 2006

La prima edizione del libro, pubblicata da Feltrinelli, è del 1963. La seconda edizione, del 1981, rivista, contiene il passaggio di Mara Selvini Palazzoli da un approccio psicoanalitico a quello sistemico e i risultati di una ricerca pionieristica su 12 famiglie con una figlia anoressica i cui risultati individuano caratteristiche di queste famiglie a tutt’oggi condivisibili. Ti consigliamo di leggere, soprattutto, la quarta parte che testimonia il passaggio alla terapia familiare, ma non  dimenticare la seconda parte che, sebbene formulata entro un paradigma psicoanalitico lo supera per molti aspetti ed è del massimo interesse.

Salvator Minuchin,  Bernice L. Rosman & Lester Baker (1978 edizione originale) Le famigie psicosomatiche, Astrolabio 1980

2. Salvator Minuchin,  Bernice L. Rosman & Lester Baker (1978 edizione originale) Le famigie psicosomatiche, Astrolabio 1980

Il testo è un po’ datato, ma il terzo capitolo vale la pena di leggerlo, te lo consigliamo, così come alcuni altri capitoli sulla terapia, ma di questo parleremo in un altro articolo.

Eist: centro specializzato per la cura dell’anoressia a Milano

La psicoterapia sistemico relazionale può giocare un ruolo fondamentale nel superare conflitti e  competizioni in ambito familiare e interpersonale che sono alla base dell’esordio dell’anoressia.

La EIST dalla sua fondazione non solo fa psicoterapia con le persone con anoressia ma svolge attività di ricerca su questo disturbo. 

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Se leggi questa pagina, immagino tu sia interessata o interessato a sapere qualcosa di più sui disturbi alimentari.

Forse ti interessa perché riguarda direttamente te o un’amica o un familiare, oppure perché questo tema è legato alla tua professione, o per semplice curiosità. Quale che ne sia il motivo, queste pagine cercheranno di soddisfare le tue esigenze. Troverai informazioni generali, che potrai approfondire a diversi livelli, via via più specifici.

Quindi prenditi un po’ di tempo e fatti guidare dalla curiosità.

Indice

Cosa sono i disturbi alimentari (DCA)?

Quali sono i disturbi alimentari?

1. Anoressia

2. Bulimia Nervosa

3. Binge Eating Disorder o Disturbo da alimentazione incontrollata

4. Obesità

5. Night Eating Syndrome

6. La Pica e il Disturbo da Ruminazione

Quali sono le cause dei disturbi alimentari?

1. Cause biologiche

2. Cause psicologiche

3. Cause psicosociali

4. Cause culturali

5. Cause derivanti da altri disturbi psichici

Disturbi alimentari: quali sono i primi sintomi? Come riconoscerli?

1. I sintomi dell’anoressia

2. I sintomi della bulimia

I disturbi alimentari infantili e nei bambini

1. L’anoressia nel bambino

2. Il disturbo da comportamento alimentare restrittivo e selettivo

3. L’obesità infantile

Disturbi alimentari: come uscirne?

Il trattamento dei disturbi alimentari: a chi rivolgersi?

Come curare i disturbi alimentari con la psicoterapia sistemico relazionale?

EIST è un centro psicoterapeutico specializzato nella cura dei disturbi alimentari

Cosa sono i disturbi alimentari (DCA)?

I disturbi alimentari consistono in modalità di assunzione di cibo che compromettono lo stato di salute fisica o il funzionamento psicosociale di una persona.

Vi sono diverse forme di disturbi alimentari che sono classificate tra i disturbi mentali.

Quali sono i disturbi alimentari?

I principali disturbi alimentari sono:

  1. l’Anoressia Nervosa
  2. la Bulimia
  3. il Disturbo da Alimentazione incontrollata
  4. l’Obesità
  5. la Night Eating Syndrome
  6. la Pica e il Disturbo da Ruminazione

Il Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (ultima versione: DSM 5) include anche la Pica e il Disturbo da Ruminazione che sono assai meno diffusi nella pratica clinica, mentre non comprende l’obesità, considerata invece da molti psicologi e psichiatri un disturbo alimentare e di cui parleremo più avanti.

1. Anoressia Nervosa

La forma più nota di disturbo alimentare, la prima identificata come entità nosografica autonoma, è l’Anoressia, oggi detta Nervosa, un tempo anche Mentale per sottolinearne la natura essenzialmente psicologica. L’Anoressia è legata primariamente ad un ingiustificato, quanto esasperato, timore di ingrassare e interessa tipicamente il genere femminile.

Se per caso una persona che conosci somiglia alla ragazza nel ritratto di Modigliani qui a sinistra, ma quando si guarda allo specchio dice di vedersi più o meno come uno dei personaggi del quadro di Botero sulla destra, probabilmente ne soffre e farebbe bene a preoccuparsi.

La paura di ingrassare è oggi molto comune, non solo negli adolescenti. I prodotti che promettono di far perdere peso occupano, infatti, uno spazio ragguardevole nella pubblicità, come nelle farmacie. Ciò che contraddistingue la condizione anoressica sono però le modalità particolari con cui il timore di ingrassare si manifesta.

Mirna, una quindicenne figlia di un medico, poteva discutere del metabolismo con una competenza superiore a quella del padre e conosceva il contenuto calorico di ogni alimento, nonché il tipo e quantità di attività fisica richiesta per smaltirlo. La focalizzazione su tutto ciò che riguarda il cibo e l’alimentazione, in tutti i suoi aspetti, era pervasiva. Nonostante il termine anoressia significhi ‘mancanza di appetito’, in realtà non è così e il termine è improprio anche se ormai si è affermato. Mirna, che in effetti dichiarava di non avere appetito, in realtà combatteva contro il desiderio di mangiare. Un suo timore nascosto si poteva esprimere più o meno con queste parole: se mi lascio andare a mangiare, poi non mi fermo più. Mirna si dilettava di cucina, preparava torte e dolci che i famigliari (soprattutto il fratellino) erano forzati a nutrirsene in cambio del suo impegno di sforzarsi a mangiare a sua volta un po’ di più. 

Il soggetto del quadro di Modigliani è una ragazza perché, come s’è detto, tipicamente anche se non necessariamente, l’anoressia interessa con frequenza nettamente maggiore il sesso femminile. Nelle sue forme tipiche, insorge all’inizio della pubertà o in adolescenza. Più raramente, interessa i maschi (in una proporzione che varia da 1:6 a 1:10 nei diversi studi), i bambini oppure soggetti in età adulta. Descritta per la prima volta in Europa, è oggi diffusa in tutti i paesi occidentali e in Giappone, assieme alla bulimia.

Se volessi approfondire il tema ti consigliamo la lettura di questo articolo.

2. La bulimia nervosa

disturbi alimentari: bulimia nervosa

La Bulimia Nervosa come entità nosografica autonoma nasce molto più tardi rispetto all’anoressia, precisamente nel 1980 con la prima edizione del DSM 3, che ovviamente la include nel gruppo dei disturbi del comportamento alimentare. In precedenza, nel XVIII e XIX secolo, era stata raramente menzionata, per lo più come variante associata all’anoressia o ad altri quadri patologici.

In qualche modo, la bulimia rappresenta una ‘soluzione’ del problema di chi non vuole ingrassare ma non riesce a trattenersi dal mangiare. Se tale soluzione è insoddisfacente per chi la pratica, non lo è per le industrie sia produttrici di prodotti dimagranti che di alimenti ipercalorici: entrambe vengono così remunerate per le somme ingenti che spendono per pubblicizzare i propri prodotti.

Nella bulimia, periodicamente la restrizione alimentare è interrotta da abbuffate pantagrueliche. La persona che soffre di bulimia, una volta procuratosi cibo a sufficienza, si lascia andare e ne ingerisce grandi quantità in poco tempo, per lo più in solitudine. L’abbuffata è seguita da forte disagio psicologico, senso di colpa e spesso dalle c.d. ‘condotte di eliminazione’ (tipicamente il vomito, ma anche l’uso lassativi o diuretici, iperattività fisica, ecc.).  Frequentemente, queste ragazze riescono in questo modo a mantenere un peso e un aspetto normali. La pratica del vomito e le condotte di eliminazione sono spesso associate anche all’anoressia, soprattutto nelle forme croniche.

Beatrice, una trentacinquenne la cui alta statura metteva in risalto l’estrema magrezza, dai 15 anni aveva iniziato a praticare una dieta via via sempre più rigida, per controllare la tendenza al sovrappeso propria della sua famiglia. Con il tempo, la sintomatologia si era modificata. Dopo la morte dei genitori, si era trovata a vivere da sola nella villa rinascimentale sulle colline toscane ricevuta in eredità assieme a un patrimonio appena sufficiente a mantenere sé stessa e la propria costosa abitazione. Poté così dedicarsi in modo quasi esclusivo al controllo della propria alimentazione e del proprio peso. Il vomito, l’uso di lassativi e diuretici erano sapientemente dosati in modo da garantirle la sopravvivenza nonostante le condizioni fisiche non le consentissero più che una limitata attività.

Per approfondire il tema ti consigliamo di leggere questo articolo.

3. Binge Eating Disorder o Disturbo da Alimentazione Incontrollata

Nel Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder) gli eccessi alimentari non sono seguiti da condotte di eliminazione come nella bulimia: l’obesità ne costituisce l’inevitabile conseguenza.  Mentre nella maggior parte dei casi l’abbuffata bulimica è più o meno accuratamente pianificata, in questo disturbo è spesso una situazione propizia, o la semplice consapevolezza della disponibilità di cibo, a rappresentare una tentazione alla quale non si può resistere. 

Fabio, un ragazzo di 13 anni, in occasione di una riunione di famiglia, rimase solo in casa mentre genitori, fratelli e parenti si assentavano per la messa. Recatosi in cucina, si trovò di fronte tredici bistecche, che ingoiò una dopo l’altra, prima del ritorno dei famigliari. Costoro, convinti che la sparizione delle bistecche nello stomaco del ragazzo fosse uno scherzo di Fabio, solo a fatica si convinsero che diceva loro la verità. Con il medico che lo vide più tardi, Fabio si giustificò dicendo di non riuscire a trattenersi di fronte al cibo, senza peraltro manifestare particolari emozioni, pur dicendosi convinto di sbagliare comportandosi in quel modo.

4. Obesità

L’obesità si  caratterizza  per un accumulo di grasso corporeo. L’indicatore più utilizzato è l’indice di massa corporea (Body Index Mass): quando è uguale o superiore a 30 si parla di obesità. Questa patologia rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica.  Incide infatti sulla qualità e durata della vita perché ha conseguenze importanti sulle condizioni di salute. 

Dai dati raccolti dall’ Italian Obesity Barometer Report, realizzato in collaborazione con ISTAT e presentato a Roma, nell’ aprile 2019 emerge che in Italia il 9,4 delle donne e 11,8 degli uomini sono obesi. In sintesi, un italiano su dieci è obeso. 

L’obesità non sempre è l’esito del Binge eating disorder. Le persone possono diventare obese semplicemente perché regolarmente mangiano troppo e non fanno attività fisica.

Questo tipo di obesità, esito di stili alimentari personali e familiari, può non essere associato a problemi psicologici. Per questa ragione, per altro condivisibile, il DSM 5, come le edizioni precedenti, non include l’obesità fra i disturbi mentali. 

È tuttavia difficile che l’obesità non abbia conseguenze psicologiche nelle nostre società dove magrezza e prestanza fisica sono valorizzati e considerati indicatori di successo e status, sempre più anche per gli uomini. Le richieste di terapie per l’obesità sono spesso motivate più dal profondo disagio psicologico creato dalla condizione di obesità che dalle sue conseguenze sulla salute fisica.

5. Night Eating Syndrome

Questo disturbo alimentare è caratterizzato da:

  • un pattern pressoché giornaliero di assunzione di cibo che incrementa significativamente la sera e la notte. Il paziente salta per lo più la colazione la mattina perché non ha appetito, spesso mangia poco a pranzo e poi incrementa progressivamente l’assunzione del cibo durante la sera e la notte
  • da episodi in cui il paziente mangia dopo essersi svegliato durante la notte o si sveglia per mangiare. 

Affinché si possa parlare di un vero disturbo psichico, questi comportamenti devono essere accompagnati da disagio psicologico e da serie limitazioni  nella vita del paziente. 

Il DSM cita questa sindrome tra gli altri disturbi alimentari specificati. Si tratta per il DSM di una diagnosi residuale che va formulata quando non sono soddisfatti tutti i criteri per la diagnosi ad esempio di binge eating disorder. 

Se la night eating syndrome debba essere considerato un disturbo a sé stante è controverso. Per molti psicologi clinici e psichiatri è soltanto l’espressione del proliferare delle etichette diagnostiche.  

Un dato interessante è che questo pattern alimentare, comunque lo si voglia considerare, è molto frequente fra gli obesi. Mentre tra la popolazione con peso nella norma questo pattern non supera l’1,5%, tra le persone gravemente obese è presente tra il 15 e il 25%. 

Può comunque essere riscontrato anche nelle anoressie, e soprattutto in fase di remissione.

6. La Pica e il Disturbo da Ruminazione

Sono disturbi alimentari molto meno frequenti e per lo più associati a deficit mentale o altre gravi patologie (ad es. schizofrenia):

  • la Pica  è caratterizzata dall’ingestione di materie non commestibili (terra, inchiostro, ecc);  
  • il Disturbo da ruminazione che consiste in una prolungata masticazione, a volte seguita da rigurgito del bolo già ingerito, che viene nuovamente masticato in bocca.

Quali sono le cause dei disturbi alimentari?

Oggi la comunità scientifica tende a proporre per i disturbi del comportamento alimentare, come per gran parte degli altri, modelli multifattoriali di tipo bio-psico-sociale.

Come per la maggior parte dei disturbi mentali, non è possibile individuare una causa unica ma un insieme di fattori che possono associarsi e interagire in misura e in modo diverso tra loro nel singolo caso, per favorire l’insorgenza e il mantenimento di un disturbo alimentare.

1. Cause biologiche

Un fattore biologico evidentemente coinvolto è costituito dall’appartenenza al genere femminile, ma naturalmente il peso della cultura e degli stereotipi di genere possono essere determinanti. Tipicamente i DCA, anoressia in particolare,  riguardano giovani donne, dall’inizio della pubertà e nella prima giovinezza, con frequenza nettamente superiore (da 6 a 10 volte) rispetto ai maschi, anche se si registra sia una tendenza all’estensione alle fasce d’età superiore e inferiore, sia a soggetti di sesso maschile.

2. Cause psicologiche

La dimensione psicologica è unanimemente considerata di primaria importanza nei disturbi alimentari più comuni. Anoressia, bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating disorder) sono associati a determinate caratteristiche psicologiche e la loro stessa definizione implica un atteggiamento psicologico e un disagio legato all’assunzione di cibo e alle sue conseguenze sull’aspetto esteriore. Il fatto di essere molto magri o obesi deve essere associato a un disagio psicologico che ne deriva. 

Analogamente, i fattori familiari entrano in modo vario ma costante nel favorire la comparsa e la persistenza di tali disturbi.  Una delle primissime descrizioni della sindrome, nel 1873, si deve a un internista francese, Ernest-Charles Lasègue, il quale incluse l’atteggiamento dei familiari come elemento necessario nel processo diagnostico.

Oggi, la psicoterapia familiare o comunque trattamenti che prevedono il coinvolgimento della famiglia sono considerati parte integrante di qualunque programma di trattamento dei disturbi alimentari. Le linee guida britanniche NICE (National  for Health and Care Excellence), molto seguite anche in Italia, raccomandano la terapia familiare come trattamento preferenziale per le anoressie e bulimie  infantili, adolescenziali e giovanili e il coinvolgimento della famiglia anche in in età adulta.

3. Cause psicosociali

Anche la componente psicosociale gioca un ruolo innegabilmente importante. Il dato epidemiologico è di per sé rivelatore: secondo dati aggiornati a novembre del 2006, forniti dal Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute, la prevalenza dell’Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa in Italia sarebbe rispettivamente dello 0.2%–0.8% e dell’1%–5%, in linea con quanto riscontrato in molti altri paesi europei e non. 

Nonostante la carenza di studi epidemiologici nel nostro paese (dal 2006 al 2011 si possono contare solo 2 studi epidemiologici confrontabili con quelli della letteratura internazionale), questi dati sono simili a quelli degli altri paesi occidentali (Europa, USA e Canada, Giappone). Viceversa, nei paesi in via di sviluppo i dati relativi a incidenza e prevalenza dei DCA sono estremamente scarsi anche per la loro scarsa rilevanza in termini quantitativi, ma sembrano indicare che la presenza di tali disturbi è collegata al grado di esposizione all’influenza della cultura occidentale.

4. Cause culturali

cause culturali disturbi alimentari

I criteri per la diagnosi e diagnosi differenziale non possono evitare di fare riferimento a fattori culturali.  Ne sono testimonianza le statuette delle ‘veneri preistoriche’, come quella nella foto, oggi potenziale candidata a una cura per l’obesità più che a un concorso di bellezza.

5. Cause derivanti da altri disturbi psichici

I DCA sono spesso associati ad altri disturbi psichici:

  • la comorbidità più frequente dell’anoressia è con i disturbi d’ansia, soprattutto nelle prime fasi del disturbo
  • fenomeni depressivi, o comunque di forte tristezza sono molto frequenti quando l’anoressia comincia a essere superata e la ragazza riacquista peso
  • anche l’associazione con i disturbi di personalità è tutt’altro che rara 
  • la bulimia è a volte associata anche con l’abuso di sostanze.

Disturbi alimentari: quali sono i primi sintomi? Come riconoscerli?

L’esordio di un Disturbo alimentare può essere molto vario in relazione all’età, al genere, oltre che alla sua tipologia.

1. I sintomi dell’anoressia

anoressia sintomi

Nelle forme tipiche di anoressia, l’esordio interessa ragazze adolescenti o preadolescenti, talora in coincidenza o poco dopo il menarca, altre volte qualche anno più tardi.  

Una dieta iniziata per un sovrappeso – anche lieve o solo presunto – è seguita da una progressiva riduzione degli alimenti, spesso selettiva in modo crescente. 

Tipicamente, si tratta di ragazze che non hanno mai dato problemi, con un rendimento scolastico sopra la media.

Quello di Fabiola è un esempio di esordio tipico.  Fabiola è una ragazza di 14 anni che frequenta la prima superiore. Figlia di due dirigenti d’azienda nel pieno di una brillante carriera, ha sempre avuto un rendimento scolastico più che brillante: considera ogni voto al di sotto del massimo come una macchia nel suo curriculum di scolara modello. Pratica sport a livello agonistico (ginnastica artistica), dove il suo corpo da bambina prepubere non rappresenta un handicap ma un vantaggio. Da circa un anno ha iniziato a ridurre il cibo, forse sollecitata dalla sua allenatrice, rifiutando prima la carne, poi via via altri alimenti. Apparentemente, nulla è cambiato nella sua vita o in quella della sua famiglia, dove tutti sono da sempre impegnatissimi nel lavoro. Escono la mattina e si ritrovano per la cena, soddisfatti perché ognuno ha fatto il proprio dovere dando il massimo. Fabiola e il fratello minore dopo la scuola pranzano a casa di una zia materna, dove rimangono nel pomeriggio anche per i compiti. Anche quando la perdita di peso di Fabiola diventa evidente, la ragazza nega qualunque problema dichiarando di sentirsi benissimo; è molto attiva anche sul piano fisico e le sue lamentele riguardano l’insistenza crescente dei familiari perché riprenda un’alimentazione normale. Tali pressioni dei familiari, diventate secondo lei eccessive, sortiscono solo l’effetto di indurre in lei crisi di pianto. Nemmeno la decisione di ridurre al minimo gli allenamenti, comunicata alla famiglia dai dirigenti della squadra, modifica la sua posizione, che la porta a rifiutare ogni proposta di trattamento. Indotta a mangiare un po’ di più con vari espedienti, promesse e minacce, Fabiola ha escogitato una specie di ginnastica da praticare sotto le coperte circa per un paio d’ore dopo essersi coricata, come confiderà poi alla madre. Contrae i muscoli che la riduzione degli allenamenti ha reso meno attivi, allo scopo di non diminuire il consumo calorico.  Alla fine, finisce per accettare una terapia familiare, pur senza ammettere di essere portatrice di un problema: ‘accetto perché tutti in famiglia dobbiamo fare un passo avanti.  

Non raramente però la situazione familiare presentata è ben lontana da un quadro anche solo apparentemente idilliaco. Tuttavia, anche quando nulla sembra turbare l’immagine di famiglia ‘normale’, un’indagine accurata del periodo precedente l’inizio dei sintomi può mettere in evidenza cambiamenti nel contesto familiare. Spesso si tratta di eventi non chiaramente traumatici e che possono non riguardare direttamente la futura anoressica.

2. I sintomi della bulimia

Se la perdita di peso, oltre a un certo limite, non può passare inosservata, non altrettanto accade nei casi di bulimia nervosa, soprattutto se il peso è nella norma. Le abbuffate vengono tipicamente pianificate in modo da passare inosservate e il solo comportamento rivelatore può essere rappresentato dal ritirarsi nel bagno per vomitare dopo i pasti. Questo segnale può però essere ignorato in molti casi, data la frequenza crescente con cui, per motivi diversi, i membri di molte famiglie oggi consumano i pasti in tempi o luoghi diversi. 

Moira, una bella ragazza di 21 anni, studentessa universitaria, poteva vantare molti corteggiatori e una linea invidiabile, che le permetteva di affrontare senza timori anche la prova costume. Nonostante questo, si lasciava andare con regolarità a vere e proprie orge alimentari, secondo un preciso rituale. In primo luogo, doveva individuare un luogo o un momento che garantissero l’isolamento, cosa non semplice data la convivenza con altre studentesse. L’orgia alimentare richiedeva infatti la garanzia della solitudine. Il secondo problema riguardava la scelta del tipo di alimenti da acquistare in grande quantità, che non necessariamente dovevano esserle graditi. Poteva ora scegliere dolciumi, ora ortaggi da consumarsi crudi. In ogni caso, una volta iniziato a mangiare non si fermava se non dopo aver raggiunto il limite massimo per lei, al quale seguiva l’autoinduzione del vomito. Le abbuffate la lasciavano stremata e sopraffatta dal senso di colpa e dal disgusto verso se stessa. A tali eccessi seguivano alcuni giorni di digiuno ed estenuanti sedute in palestra. Non appena poté, Moira lasciò l’appartamento con le altre studentesse per trasferirsi in un monolocale, ufficialmente per poter studiare di più, in realtà per dedicarsi indisturbata alle proprie abbuffate. Poiché la bulimia si rivelava decisamente costosa in termini economici, approfittò di questo cambiamento per farsi aumentare dai genitori il mensile per il proprio mantenimento. Privata dei vincoli sociali, perse ben presto il controllo sulla propria alimentazione e, spaventata, chiese una terapia individuale.

Come Moira, molti soggetti bulimici riescono a mantenere un peso normale. Non raramente il loro disturbo in famiglia passa inosservato anche per parecchio tempo. Come si è già detto non sono poche le famose star di Hollywood, modelle e qualche principessa che hanno confessato di aver sofferto di questo disturbo. In libri o tramite i social media, hanno raccontato la propria dolorosa esperienza raccomandando alle giovani di non seguire il loro esempio.

Una differenza rimarchevole tra le ragazze bulimiche e le anoressiche riguarda la vita sentimentale e sessuale.  Anche se le pazienti anoressiche spesso si accompagnano ad un partner, comunque gli concedono ben poco in termini di passione amorosa. 

Gioia, una tipica bellezza meridionale di 24 anni, aveva sofferto in adolescenza di anoressia restrittiva, poi risoltasi con l’aiuto di una terapia individuale. Gioia frequentava Davide da oltre un anno, presentandolo come il suo ragazzo, quando chiese una seconda tranche di trattamento. Il suo rapporto con Davide era basato su una premessa condivisa: doveva essere un’esperienza unica, totalmente esente dalla banalità che caratterizzava le coppie dei loro compagni di università. Il loro rapporto doveva mantenersi su un piano totalmente spirituale. Il fine comune doveva consistere nel motivarsi reciprocamente ad elevarsi intellettualmente e spiritualmente, in primo luogo attraverso lo studio e l’approfondimento di testi adatti a questo fine.  L’intimità doveva essere totale e quindi puramente spirituale, alimentata dal successo nel reprimere il desiderio. Gioia si sentiva completamente soggiogata dal fascino intellettuale di Davide, che la ricambiava attribuendo a lei la propria incapacità a progredire lungo la via intrapresa, soprattutto negli studi. Per questo, aveva preso con il tempo ad umiliarla e trattarla in malo modo, anche in pubblico. 

Al contrario di Gioia Alice, da anni una bulimica a peso normale, accettava volentieri le attenzioni non platoniche dei suoi corteggiatori, usando una strategia che indicava con il termine di ‘riconversione’ : selezionava ragazzi che potevano esserle di utilità per qualche suo scopo e, una volta resili ‘dipendenti’ usando le armi della seduzione femminile, se ne serviva per uno scopo contingente, per poi ritirarsi dal rapporto. Rapporto che però mai veniva interrotto del tutto.  L’amante veniva ‘riconvertito’ in amico, ponendolo in una ‘riserva’ pronto per essere usato come compagnia in caso dei ricorrenti penosi momenti di vuoto o solitudine, confidente o compagno di viaggio. 

Non raramente, come nel caso di Alice, le candidate alla bulimia hanno subito esperienze di abuso sessuale all’interno della famiglia. 

I disturbi alimentari infantili e nei bambini

I disturbi più diffusi nei bambini sono:

  1. anoressia
  2. disturbo da comportamento alimentare restrittivo e selettivo
  3. obesità infantile

1. L’anoressia nel bambino

Si differenzia dall’anoressia dell’adolescente per  le ragioni  psicologiche che ne sono all’origine . Il ridotto apporto alimentare non è legato a un timore esagerato di ingrassare ma ad una paura diversa. Spesso tale timore è conseguente a un episodio traumatico o vissuto come tale – il caso più frequente è la paura del soffocamento da cibo

Katia, a dieci anni, durante un picnic aveva ingoiato un boccone troppo grosso per poter essere deglutito ma anche espulso. La conseguente difficoltà a respirazione era aumentata dal suo spavento. Nonni e genitori, non meno agitati della bambina, non riuscendo a risolvere la situazione, si erano precipitati al Pronto Soccorso dell’Ospedale, fortunatamente non lontano, dove la situazione era stata felicemente risolta. L’episodio tuttavia aveva lasciato un forte timore in Katia e nel resto della famiglia. Da quel giorno la bambina aveva eliminato gradualmente vari alimenti che temeva avrebbero potuto provocarle un nuovo episodio.  La restrizione alimentare perdurava a distanza di un anno e Katia era decisamente sottopeso. Se prolungato nel tempo, questo disturbo può arrivare infatti anche a compromettere la crescita.

2. Il disturbo da comportamento alimentare restrittivo e selettivo

Il disturbo da comportamento selettivo nell’assunzione di cibo è assai diffuso. Si tratta di bambini che mangiano solo alcune tipologie di cibi. Ad esempio cibi semisolidi come frullati o pappineFino ai 4 anni è abbastanza comune fra i bambini la ritrosia verso i cibi nuovi e una buona dose di selettività nei cibi che assumono.

Tuttavia se le restrizioni diventano troppo numerose e se si verificano carenze nutrizionali si entra nel cosiddetto disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo anche se il peso del bambino risulta del tutto normale.

3. L’obesità infantile

E’ particolarmente diffusa nel nostro Paese. I dati Istat del 2019  ci dicono che nel biennio 2017-2018 il 25,2 % della popolazione dai 3 ai 17 anni risultava in eccesso di peso. Le differenze di genere sono notevoli (27,8 dei maschi versus 22,4 delle femmine) così come quelle fra Nord e Sud (Nord Ovest 18,8  versus 32.7 Sud). 

Inoltre quasi il 10% dei bambini risulta obeso

A differenza dell’adulto non basta l’indice di massa corporea (BMI Body Index Mass) a definire se siamo di fronte a un bambino obeso e di quale entità sia il problema, ma occorre utilizzare delle apposite tabelle di riferimento. 

Come per gli adulti, anche per i bambini, essere obesi non significa necessariamente avere un disturbo del comportamento alimentare. Tuttavia l’obesità infantile non deve essere considerata solo il frutto di cattiva alimentazione, scarsa attività fisica o predisposizione genetica. 

L’obesità infantile è spesso la conseguenza di un emotional eating. Ovvero il bambino cerca di “tenere a bada” alcuni stati emotivi mangiando. Si può andare dal saltuario o continuo piluccamento alle abbuffate compulsive con perdita di controllo. Tali comportamenti sono di norma tenuti nascosti e negati, non solo per la paura delle conseguenze (rimproveri da parte dei genitori) ma anche per il senso di vergogna che spesso accompagna l’iperalimentazione. I bambini obesi tuttavia, lasciano spesso tracce delle loro “mangiate”: carte nascoste nei meandri di casa, briciole sparse qua e là, frigoriferi e dispense saccheggiati.

Giovanni, un bimbo di 8 anni, obeso ormai da due anni, negava, fino a farsi venire crisi di pianto inconsolabile, di aver portato in camera propria e divorato interi pacchi di biscotti, merendine e patatine di cui puntualmente lasciava gli involucri vuoti e le briciole sotto il letto. I genitori di Giovanni erano disperati per motivi diversi: il padre, anche lui obeso, si sentiva in colpa per ogni etto in più del figlio dando la colpa alla maledetta genetica, la mamma, una donna atletica non si capacitava di non essere riuscita ad insegnare al figlio l’autodisciplina.

Negli ultimi anni sono state condotte diverse campagne di sensibilizzazione volte a mettere in guardia la popolazione sui rischi legati all’obesità infantile. Ecco i due principali: 

  • rischio sulla salute. Un terzo dei bambini e la metà degli adolescenti sovrappeso e obesi manterranno e peggioreranno la loro condizione in età adulta con inevitabili conseguenze sullo stato di salute. 
  • rischio per l’insorgenza di un disturbo alimentare restrittivo in età adolescenziale.

Nonostante queste evidenze l’obesità infantile è spesso sottovalutata. La credenza prevalente è che un bimbo paffuto è bello e in buona salute. Anche chi è più accorto pensa spesso che con la crescita il problema svanirà. L’ipotesi che l’obesità del proprio bambino possa essere la conseguenza di abbuffate compulsive o di emotional eating,  quindi l’effetto di un disturbo dell’alimentazione, viene spesso ignorata dai familiari. A volte, i curanti, prescrivendo regimi alimentari puntualmente disattesi, aggravano le sensazioni di fallimento e la conseguente convinzione nel bambino stesso, oltre che nei suoi familiari, di essere un caso perso. 

Anna, Eleonora e Lorenzo: 11, 10 e 9 anni partecipavano a un gruppo psicologico con i loro genitori all’interno di un percorso di day hospital per bambini obesi. Nonostante la loro giovane età, avevano elencato, con dovizia di particolari, almeno cinque o sei percorsi intrapresi per perdere peso. Tutti e tre condividevano la medesima sensazione di essere incapaci e  tutti e tre avevano paura dei camici bianchi che li pesavano e puntualmente li rimproveravano più o meno benevolmente. I genitori sentivano il peso di non riuscire a insegnare ai propri figli una corretta alimentazione ed uno stile di vita adeguato. Allargando tuttavia lo sguardo ai significati che il cibo e la forma fisica assumevano in queste tre famiglie e focalizzandosi sui periodi in cui vi era stata l’insorgenza di un comportamento alimentare disfunzionale con conseguente aumento di peso dei figli e loro, i genitori  si erano stupiti di quanto loro stessi fossero caduti nella trappola di pensare che il problema proprio e dei figli fosse semplicemente l’incapacità di seguire una dieta e  di dedicarsi ad un’attività fisica adeguata.

Generalmente di fronte a un problema di obesità infantile occorrerebbe quindi prima di tutto distinguere quando ci si trova di fronte a una famiglia vittima di cattive abitudini alimentari oppure di fronte a dinamiche più complesse che solo se comprese e cambiate possono favorire la risoluzione del sintomo.

Disturbi alimentari: come uscirne?

Le persone che hanno un disturbo alimentare psicogeno generalmente evitano di ricorrere ad aiuti esterni. Se si tratta di bambini o adolescenti, i genitori esitano a ricercare soluzioni al problema alimentare all’esterno della famiglia nella convinzione di riuscire ad aiutare la figlia o il figlio a superare il problema.  I giovani adulti o gli adulti frequentemente nascondono a lungo agli stessi familiari vomito, uso massiccio di lassativi, e altri sintomi o comportamenti inappropriati. Ricorrono invece compulsivamente a diete che puntualmente falliscono.  

La decisione dei genitori o del paziente di rivolgersi a specialisti è quindi un grande passo avanti verso la soluzione del problema. Più presto viene presa questa decisione tanto maggiore è la probabilità di guarigione. Come in altre psicopatologie, la cronicità più che la gravità del disturbo è un indicatore prognostico negativo. Quanto più a lungo si è vissuti con il disturbo alimentare tanto più sarà difficile superarlo. Va tuttavia tenuto conto che si può guarire anche da gravi cronicità. I disturbi alimentari psicogeni anche gravi e cronici possono essere superati.

Il trattamento dei disturbi alimentari: a chi rivolgersi?

resa la decisione di farsi curare si aprono due possibilità:

  • ricorrere a centri specialistici multiprofessionali sui disturbi alimentari, spesso inseriti in strutture ospedaliere, con ambulatorio, day hospital e possibilità di ricovero;
  • ricorrere a centri specializzati nella psicoterapia dei disturbi alimentari

Il nostro consiglio è di ricorrere a centri specializzati nella psicoterapia dei disturbi alimentari per due ragioni:

  • perché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di un disturbo psicologico, quindi risulta inutile e inutilmente stressante fare una quantità di esami. Inoltre sono gli stessi psicoterapeuti a suggerire al paziente e alla sua famiglia esami specifici qualora si rivelino necessari;
  • perché il percorso nei centri psicoterapeutici specializzati è personalizzato e costruito su misura a differenza di quanto accade nei centri specialistici multiprofessionali con ambulatorio, day hospital e possibilità di ricovero dove vengono seguiti protocolli standardizzati.  Proprio grazie alla personalizzazione  e alla maggiore flessibilità, il trattamento nei centri specializzati di psicoterapia è molto più facilmente accettato di buon grado dal paziente e dai famigliari e conseguentemente ridotti sono i drop out.

In presenza di complicanze mediche o quando il peso raggiunge livelli allarmanti può rendersi necessario, soprattutto per le anoressie, il ricovero in ospedale, di solito in reparti di medicina.  Durante il ricovero i curanti possono ricorrere alla nutrizione tramite sondino naso-gastrico o a volte per via parenterale.  Questi ricoveri, generalmente brevi, servano a scongiurare il pericolo di gravi complicanze o ad affrontarle, ma di regola non risolvono il problema, nemmeno quello del peso corporeo. Nelle anoressie gran parte del peso acquisito con l’alimentazione forzata  viene spesso rapidamente perso. 

Diverso è il caso delle gravi obesità per le quali la chirurgia bariatrica può portare a risultati positivi soprattutto nel breve e medio termine. Nel lungo termine (almeno 10 anni) i risultati sono molto meno soddisfacenti. Inoltre questi interventi possono avere complicanze durante l’intervento e a breve e lungo termine.

Come curare i disturbi alimentari con la psicoterapia sistemico relazionale?

Le forme di intervento psicoterapeutico sono di diverso tipo anche in rapporto all’età del paziente e al tipo di disturbo alimentari. E’ l’intervento di elezione per i disturbi alimentari nei bambini, nei preadolescenti e negli adolescenti. Le linee guida britanniche NICE ( National  for Health and Care Excellence), molto seguite anche in Italia, raccomandano la psicoterapia familiare come trattamento preferenziale per le anoressie e bulimie  infantili, adolescenziali e giovanili e il coinvolgimento della famiglia anche in in età adulta.

1. Percorsi psicoterapeutici con il coinvolgimento della famiglia

Con gli adolescenti e con i giovani adulti sono  a volte preferibili questi percorsi alla psicoterapia familiare classica. Sono stati elaborati vari tipi di format terapeutici che prevedono un percorso individuale con coinvolgimento della famiglia a livelli diversi.

2. Psicoterapia sistemica multifamiliare

Nata per il trattamento delle famiglie multiproblematiche, la Terapia sistemica multifamiliare  è anche utilizzata nel contesto pubblico per le famiglie in cui più membri soffrono di disturbi alimentari.  Il lavoro clinico con queste famiglie si attua in uno specifico setting diurno multifamiliare, con sei-otto famiglie che partecipano contemporaneamente per intere giornate e settimane. A parte alcune esperienze pionieristiche negli anni Sessanta, questa forma di terapia è stata sviluppata, a partire dagli anni Settanta da  Alan Cooklin e dal suo staff, presso il Marlborough Family Service di Londra per poi diffondersi in Europa. Anche in Italia alcuni centri pubblici offrono questo tipo di esperienza terapeutica.

3. Percorsi di terapia individuale

E’ l’intervento più utilizzato con  anoressiche e bulimiche adulte croniche. Anche con bulimiche a peso ideale  questo format è spesso utilizzato con buoni risultati. Naturalmente vengono proposte  psicoterapie individuali con vario orientamento clinico. Le più diffuse e che hanno sviluppato forme di intervento atte la specificità dei disturbi alimentare sono

  • le psicoterapie sistemiche individuali. Già  nel 1988 Selvini Palazzoli e Viaro avevano fornito linee guida per il lavoro con queste pazienti. 
  • la terapia cognitivo-comportamentale

4. Psicoterapia di gruppo

E’ un intervento particolarmente utilizzato  soprattutto con l’obesità. Anche con persone con problemi di sovrappeso che hanno tentato vanamente tante diete questo tipo di psicoterapia viene consigliata.

5. Psicoterapia di coppia

E’ un intervento preso in considerazione per anoressie, bulimie, binge eating e obesità negli adulti.

EIST è un centro psicoterapeutico specializzato nella cura e nello studio dei disturbi alimentari

La EIST offre percorsi psicoterapeutici per disturbi alimentari dalla sua fondazione. Valeria Ugazio e Maurizio Viaro effettuano terapie con pazienti anoressiche e le loro famiglie dall’inizio degli anni Ottanta. Gli altri colleghi dell’equipe sui disturbi alimentari – Lisa Fellin, Manuela Genchi, Lisa Lever  – hanno fatto esperienza estensive con i disturbi anoressici, bulimici e obesità anche in centri multiprofessionali ad hoc, come  Centro per i  disturbi alimentari dell’Ospedale Niguarda di Milano e l’Istituto Auxologico con sede a Piancavallo e a Milano.

La EIST offre percorsi di:

  • Terapia familiare: soprattutto per bambini e prepuberi con  tutti i disturbi alimentari  e con adolescenti
  • Percorsi alternati: secondo un protocollo elaborato da Valeria Ugazio (2013; 2019)  che inizia con una consultazione familiare, seguita da un lavoro terapeutico con la paziente che può includere sedute familiari su temi specifici e si conclude con tutto il nucleo. Questa forma di intervento è utilizzato prevalentemente con adolescenti e giovani anoressiche o bulimiche.
  • Psicoterapia individuale: soprattutto con  anoressie e bulimie croniche in persone adulte. 
  • Psicoterapie di coppia: soprattutto con anoressie, bulimie e obesità insorte in età adulta

Tutti i percorsi psicoterapeutici sono preceduti da una consultazione (da 2 a 4 incontri a seconda delle situazioni) in cui viene fatta una valutazione personalizzata del problema alimentare e della situazione entro cui si è sviluppata  e viene concordato con il paziente ed eventualmente la sua famiglia il tipo di trattamento più idoneo.

Come scegliere la scuola di psicoterapia? In base a che cosa scegliere una scuola rispetto ad un’altra? In quale modello o approccio psicoterapeutico specializzarsi?

Queste sono alcune delle tante domande che, una volta terminata l’esperienza di tirocinio e superato l’esame di stato, ti troverai ad affrontare e che condizioneranno i tuoi prossimi quattro anni e la tua futura carriera da psicoterapeuta.

Se sei un giovane psicologo o medico e sei indeciso su quale scuola di psicoterapia orientarti, sei nel posto giusto!

Questo articolo ti fornirà degli strumenti di supporto e dei consigli utili per poter prendere questa decisione fondamentale per la tua carriera professionale.

La scuola di psicoterapia, infatti, ti insegnerà il mestiere di psicoterapeuta e contribuirà in modo determinante a fare di te il professionista che un giorno diventerai.

Fai la scelta giusta!

Indice

Come scegliere la scuola di psicoterapia e come orientarsi tra i vari approcci e modelli clinici

1. Scuole ad orientamento psicoanalitico o psicodinamico

2. Scuole di psicoterapia ad orientamento cognitivo comportamentale

3. Scuole di psicoterapia ad orientamento sistemico relazionale

Una volta scelto il modello? Ecco 6 consigli utili su come scegliere la scuola di psicoterapia

1. La pratica è importante! Scegli una scuola di psicoterapia che ti introduca subito nella professione

2. Partecipa agli open day e fai domande ai docenti

3. Chiedi consiglio ad allievi e ex allievi ormai terapeuti in carriera

4. Non farti condizionare dai costi di iscrizione

5. Capisci se la scuola ha un network scientifico e professionale nazionale e internazionale

6. Scegli la scuola di psicoterapia in sintonia con te e con la tua storia

La scuola di psicoterapia sistemico relazionale EIST: questa è un’occasione per conoscerci meglio

Come scegliere la scuola di psicoterapia e come orientarsi tra i vari approcci e modelli clinici

Sei confuso su come scegliere la scuola di psicoterapia? Non sai proprio da dove partire per affrontare questa scelta così importante?

Capiamo perfettamente la tua indecisione! 

Ci sono tanti orientamenti di psicoterapia e tanti modelli terapeutici differenti uno dall’altro. Per di più anche all’interno dello stesso approccio psicoterapeutico ci sono scuole con caratteristiche diverse e con percorsi didattici unici.

Quindi, la prima scelta che dovrai fare riguarderà il modello clinico.

In passato i vari modelli erano in competizione fra loro e ognuno di essi cercava di definirsi migliore e “arroccarsi” sulle proprie posizioni.

Attualmente questo atteggiamento è in larga misura cambiato. 

I modelli terapeutici, soprattutto quelli più accreditati e presenti nel dibattito scientifico contemporaneo, dialogano molto di più tra loro rispetto al passato.

L’accrescersi degli scambi ha ridotto sensibilmente le differenze fra i modelli.

Le differenze sono, però, ancora sostanziali, soprattutto a livello di prassi psicoterapeutica.

Rispondere a questi interrogativi potrebbe darti un primo aiuto:

  • Quale modello psicoterapeutico è più confacente alla mia esperienza? Quale approccio è in grado di spiegare meglio e risolvere le difficoltà e i problemi che io stesso ho incontrato nella vita o che hanno affrontato le persone a me vicine?
  • Quale modello esprime una prassi terapeutica che si adatta meglio a come sono, alla mia personalità e alle mie attitudini?

Naturalmente non hai tutte le conoscenze per rispondere a queste domande, ma l’intuizione ti può orientare.

Gli indirizzi terapeutici sono molti, ma pressoché tutte le scuole si ispirano ad uno dei tre grandi modelli clinici, tuttora, presenti nello scenario della psicoterapia:

  1. modello psicoanalitico o psicodinamico
  2. modello cognitivo comportamentale
  3. modello sistemico relazionale

Questi tre modelli hanno una diversa concezione della natura umana, della psicopatologia e del cambiamento.

Andiamo a vederli più da vicino.

1. Scuole ad orientamento psicoanalitico o psicodinamico

Alla base di queste scuole c’è la psicoanalisi classica freudiana e i suoi sviluppi più o meno recenti. 

Vi sono, poi, prospettive eterodosse e psicodinamiche riconducibili a Jung, Adler, Lacan o ad altri psicoanalisti che si sono distaccati dalla psicoanalisi classica pur conservandone i presupposti fondamentali.

Molti modelli psicoanalitici, non solo psicodinamici, rifiutano la prospettiva pulsionale freudiana. Pressoché tutti, però, mantengono l’idea che i processi mentali siano in gran parte inconsci e considerano la psicopatologia esito di un conflitto fondamentalmente intrapsichico le cui motivazioni più importanti sono inconsapevoli. 

Per questo modello, infatti, l’attenzione è rivolta all’individuo e alla sua vita interiore.

L’obiettivo è aumentare la consapevolezza.

Tutti questi modelli sono nati dall’esperienza clinica e mantengono il focus:

  • sull’individuo e sui suoi conflitti intrapsichici
  • sui meccanismi inconsci considerati all’origine del disagio e della psicopatologia
  • sul passato e sulle esperienze infantili
  • sulla relazione terapeutica analista-paziente, intesa come sede di reciproche proiezioni, dette transfert e controtransfert, e come esperienza correttiva.

Le psicoterapie analitiche hanno obiettivi molto ambiziosi e una lunga durata. Prevedono quattro sedute la settimana e un setting con il lettino.

Le psicoterapie psicodinamiche sono più brevi. Prevedono una o due sedute settimanali, e generalmente sono vis a vis.

Le scuole che si rifanno a questo orientamento richiedono che l’allievo faccia una psicoterapia ad orientamento analitico.

Punti di forza: esplorazione al di là della consapevolezza della sessualità e del mondo interiore; disponibilità di un modello globale della personalità umana.

Punti di debolezza: onerosità del trattamento in termini di tempo e di costi; difficoltà di adattare il setting psicoanalitico o psicodinamico alla varietà di servizi, contesti, format e problemi.

2. Scuole di psicoterapia ad orientamento cognitivo comportamentale

Le scuole ad orientamento cognitivo comportamentale si fondano sull’integrazione, avvenuta tra gli anni Sessanta e Settanta, ad opera di Aaron Beck e Albert Ellis, fra cognitivismo e behavior therapy.

É apparentemente uno strano matrimonio, visto che il cognitivismo nasce in netta opposizione al comportamentismo da cui la behavior therapy deriva. 

D’altra parte il cognitivismo non aveva inizialmente competenze cliniche. É infatti nato in rapporto a temi propri della psicologia generale, come il linguaggio e la memoria. Il behaviorismo aveva invece ormai costruito un set di tecniche terapeutiche. Il cognitivismo fornisce a questo connubio la cornice teorico-concettuale, mentre il behaviorismo, ormai obsolescente, fornisce un set di tecniche già sperimentate.

In tutte le scuole ad orientamento cognitivo-comportamentale la psicoterapia è intesa come una scienza sperimentale basata su evidenze empiriche. É un’impostazione che riflette la matrice dei loro modelli di riferimento – cognitivismo e behaviorismo- nati dell’ambito della psicologia sperimentale. 

In alcune scuole prevale la matrice cognitivista, in altre quella comportamentista. 

In tutte il focus è:

  • sull’individuo e sui suoi pensieri coscienti, convinzioni e schemi cognitivi 
  • sulle distorsioni cognitive e sui pensieri irrazionali, ritenuti responsabili dei problemi emotivi e comportamentali alla base della psicopatologia 
  • sul presente
  • sulla relazione terapeutica, intesa come relazione collaborativo-istruttiva. Il terapeuta insegna al paziente a correggere le sue distorsioni cognitive e a liberarsi dei pensieri irrazionali

Queste terapie sono generalmente molto brevi e si prefiggono obiettivi circoscritti.

Punti di forza: brevità del trattamento, che può essere manualizzabile e appreso facilmente

Punti di debolezza: esplorazione limitata alla consapevolezza; può essere applicato a un numero circoscritto di psicopatologie e problemi.

3. Scuole di psicoterapia ad orientamento sistemico relazionale

scuola di psicoterapia sistemica

Le scuole di psicoterapia sistemico-relazionale nascono tra gli anni Cinquanta e Sessanta ad opera di Bateson e della scuola di Palo Alto di cui principali esponenti sono Jay Haley, Don Jackson, Paul Watzlawick.

Propongono un modo di concepire la psicopatologia, la formazione dei problemi e la loro soluzione radicalmente diverso da tutti i modelli clinici precedenti. 

Questa nuova way of thinking si fonda sull’idea di “mente contestuale”.

Come ha sostenuto Bateson, anticipando di decenni ricerche neuropsicologiche recenti, la mente non è racchiusa nell’epidermide. I processi mentali sono costruiti e mantenuti nell’interazione con altre persone

La stessa psicopatologia, anche quella più grave, è vista da questo modello come un comportamento comunicativo adeguato al contesto in cui si sviluppa. E, naturalmente, per comprenderne il significato e per creare il processo di cambiamento bisogna allargare il campo di osservazione ai contesti di cui l’individuo è parte.

Il focus delle scuole ad orientamento sistemico-relazionale è:

  • sulle relazioni familiari e di coppia 
  • sui pattern interattivi disfunzionali e sulle narrative che si costruiscono assieme agli altri membri della famiglia che amplificano i problemi e creano psicopatologie
  • su presente, passato e futuro. I pensieri, i modi di sentire che ci guidano nel presente costruiscono il nostro passato non meno delle proiezioni future. I processi mnestici sono regolati da quello che le persone pensano e sentono nel qui ed ora e si trasformano nel corso della terapia
  • sui processi di cambiamento attraverso la costruzione di nuove narrative e di esperienze, pianificate nel contesto terapeutico, e sperimentate fuori dal setting psicoterapeutico.

Queste terapie, pur avendo obiettivi trasformativi ambiziosi, sono trattamenti abbastanza brevi. L’idea che le anima è che, rimossi i vincoli che impediscono alle risorse individuali e familiari di emergere, le persone siano in grado di trovare soluzioni creative ai loro problemi. 

Per questo viene spesso lasciato un intervallo abbastanza lungo tra una seduta e l’altra. L’obiettivo è consentire all’iniziativa e alla creatività delle persone e dei nuclei familiari a cui appartengono di esprimersi autonomamente.

Punti di forza: è flessibile, applicabile a servizi, contesti, problemi, format diversi e a pressochè tutte le psicopatologie. Dispone di un un modello globale di funzionamento della mente e del comportamento umano

Punti di debolezza: la sua applicazione ottimale prevede lavoro in equipe, specchio unidirezionale e videoregistrazioni, non è facilmente manualizzabile.

Queste sono le caratteristiche dei 3 principali modelli e approcci alla psicoterapia.

Abbiamo cercato di offrirti uno spaccato sulle diverse metodologie e sui punti di forza e di debolezza di ogni approccio.

Ti abbiamo dato una base ed un punto d’inizio per orientarti in questa difficile scelta.

Ora non resta che lasciarti guidare dal tuo cuore, dalla passione e dalle tue esperienze di vita.

Una volta scelto il modello? Ecco 6 consigli utili su come scegliere la scuola di psicoterapia

Scelto il modello sei già a buon punto! Hai dato una prima fondamentale risposta alla domanda “come scegliere la scuola di psicoterapia?”.

Le scuole di psicoterapia sono però estremamente diverse una dall’altra anche all’interno dello stesso modello. La tua ricerca non finisce qui, anzi, inizia proprio ora che hai circoscritto l’ambito su cui informarti.

Ecco alcuni consigli utili che potrebbero aiutarti ad orientarti nella scelta.

1. La pratica è importante! Scegli una scuola di psicoterapia che ti introduca subito nella professione

Informati sul percorso formativo e sul tipo di didattica della scuola e scegli scuole di psicoterapia che ti preparino a lavorare:

  • con un’ampia gamma di problemi
  • con una gamma di clienti altrettanto ampia
  • in vari tipi di servizi
  • in setting diversi (individuale, familiare…)

Una scuola che ti dia una preparazione settoriale e molto specifica, ad esempio tutta focalizzata sui bambini o sulla terapia familiare o sessuale, può essere una risorsa per il tuo inserimento professionale ma anche un pesante vincolo che può precludere occasioni di lavoro e esperienze professionali future.E soprattutto analizza il tipo di didattica. Non deve ripetere l’esperienza universitaria, deve essere una didattica attiva dove la pratica precede la teoria.

2. Partecipa agli open day e fai domande ai docenti

Come fai a scegliere la scuola di psicoterapia se non ti informi?

É indispensabile che tu legga e analizzi con attenzione i siti delle scuole di psicoterapia dell’orientamento scelto. Possono esserci tante informazioni che potrebbero chiarirti le idee.

Anche gli open day sono molto importanti in quanto puoi vedere più da vicino la realtà in cui sarai inserito e prenderne parte. Ormai quasi tutte le scuole di psicoterapia ne organizzano uno.Partecipa! Non è tempo sprecato! E, soprattutto, assumi un ruolo attivo: fai domande e chiedi chiarimenti.

3. Chiedi consiglio ad allievi e ex allievi ormai terapeuti in carriera

Fatti spiegare bene dagli allievi e dai terapeuti che si sono formati nelle scuole dell’indirizzo che hai scelto:

  • come è organizzata la scuola
  • cosa stanno imparando o hanno imparato.

Osserva con attenzione: 

  • come ti parlano della scuola di psicoterapia che stanno frequentando o che hanno frequentato
  • se ti sembrano entusiasti 
  • se ti sembrano competenti.

Gli allievi possono sicuramente darti un ottimo supporto su come scegliere la scuola di psicoterapia. Questi contatti sono importanti perché i docenti delle scuole di psicoterapia hanno un punto di vista necessariamente diverso da te che stai cercando la scuola di psicoterapia. Gli allievi o anche gli ex allievi esprimono, invece, un punto di vista più vicino al tuo.

4. Non farti condizionare dai costi di iscrizione

La tua affermazione professionale dipenderà più dalle competenze che acquisirai che dal possesso del diploma.

Quindi scegli la scuola che ti dia più garanzie di farti acquisire competenze e professionalità!

Una scuola che ti faccia accedere più velocemente al mondo del lavoro.

Non farti condizionare dai costi di iscrizione e frequenza, ma dai un’occhiata ai professionisti e ai docenti che ci lavorano all’interno.

5. Capisci se la scuola ha un network scientifico e professionale nazionale e internazionale

Evita le scuole ripiegate entro un sapere localistico. Privilegia quelle aperte al confronto.

Se la scuola di psicoterapia che sceglierai dispone di una folta rete di relazioni e gode di stima nel campo della psicoterapia, anche tu ti troverai inserito in un mondo professionale ricco di stimoli, di occasioni di lavoro e di crescita

Quanto più esteso è il network scientifico e professionale quanto sarà per te più facile trovare lavoro.

Come capirlo?

  • Dai un’occhiata all’esperienza clinica e alle pubblicazioni dei docenti della scuola
  • Leggi le loro pubblicazioni, almeno quelle più importanti
  • Controlla che non sia solo un centro di formazione ma anche un centro clinico, in cui si svolge un’attività psicoterapeutica
  • Verifica che sia un istituto in cui si fa ricerca
  • Accertati che sia inserita in una rete internazionale. Una scuola di psicoterapia che sia inserita in un network internazionale va preferita. Globalizzazione e internazionalizzazione sono dei trend ineludibili che potrebbero fornirti importanti occasioni di inserimento professionale.

6. Scegli la scuola di psicoterapia in sintonia con te e con la tua storia

Tenuto conto di tutti questi aspetti, come scegliere la scuola di psicoterapia che valorizzerà le tue risorse? Guarda dentro di te e ascolta le vibrazioni del tuo cuore.

La scuola di psicoterapia, mentre ti insegna un mestiere, ti fornisce nuovi occhi con cui vedere la realtà personale e relazionale di cui sei parte.

L’esperienza che vivrai sarà anche un’esperienza che, prima di tutto, trasformerà te stesso.

Deve quindi scattare in te una sorta di innamoramento.

La scuola di psicoterapia sistemico relazionale EIST: questa è un’occasione per conoscerci meglio

Questo articolo è opera della scuola di psicoterapia sistemico relazionale EIST.

Siamo orgogliosi della nostra scuola, è un’eccellenza! Qui non ne abbiamo parlato perché abbiamo cercato di darti una mano ad affrontare questa decisione che determinerà il tuo futuro professionale. 

Se sei interessato alle psicoterapie sistemico-relazionali ti consigliamo caldamente di conoscerci meglio. Ne vale la pena! Potrai così verificare se la nostra proposta corrisponde a te, a come sei, alle tue attitudini e alle tue aspettative. 

Clicca sul pulsante qui in basso per leggere l’articolo e scoprire di più sulla scuola di psicoterapia sistemico relazionale EIST.

Forse potrà scattare finalmente la scintilla!

scuola di psicoterapia

La scuola di psicoterapia ti insegna un mestiere: la professione di psicoterapeuta.

Che tu abbia frequentato i corsi di psicologia, ad esempio, all’Università Bicocca o alla Cattolica conterà relativamente poco ai fini della tua futura professione di psicoterapeuta.

I corsi universitari in psicologia, come nelle altre discipline, forniscono un background culturale, una competenza generale sulla psicologia e i suoi vari campi.

Questo non giocherà un ruolo decisivo per il tipo di psicoterapeuta che diventerai!

La scuola di psicoterapia, mentre ti insegna un mestiere, ti fornisce nuovi occhi con cui vedere la realtà personale e relazionale di cui sei parte.

In questo articolo ti introdurremo nei meccanismi di scelta della scuola di psicoterapia e ti faremo capire come EIST può farti diventare il professionista che tanto speravi.

Indice

Scuola di psicoterapia: una scelta difficile

Perchè EIST è una scuola eccellente di psicoterapia ad orientamento sistemico relazionale

La didattica EIST: un nuovo modo di fare formazione

Cosa imparerai nella nostra scuola di specializzazione in psicoterapia sistemico relazionale?

Impararai l’abc della psicopatologia e della diagnosi

La scuola di psicoterapia EIST non è una scuola di terapia familiare

Imparerai ad utilizzare percorsi terapeutici diversi in rapporto alla psicopatologia e alla semantica della famiglia

Una forma di terapia che cambia la storia narrata del passato dell’individuo e della famiglia

Una terapia che non fa affidamento solo sulle parole ma introduce l’azione attraverso prescrizioni e esperienze concrete

Scuola di psicoterapia EIST: un’esperienza formativa che cambierà il tuo mindset

Esplorazione della tua storia familiare e delle tue relazioni personali

L’allievo al centro del suo percorso formativo

I docenti della scuola di psicoterapia EIST: imparerai dai migliori psicoterapeuti sistemici

Il supporto e le supervisioni dei nostri docenti e non solo

La partecipazione alla ricerca

Il network internazionale EIST

Il programma: percorso formativo e didattica attiva della scuola di psicoterapia EIST

Giorni ed orari delle attività

Seminari e workshop

Il tirocinio con gli enti pubblici e privati convenzionati

Le sedi delle nostre scuole di specializzazione in psicoterapia sistemico relazionale EIST

La scuola di psicoterapia di Milano

La nuova sede di Bergamo

Come diventare psicoterapeuta con EIST?

9 motivi per scegliere la scuola di psicoterapia EIST

Scuola di psicoterapia: una scelta difficile

La scelta della scuola di psicoterapia è un momento importante per i giovani medici e psicologi che, terminata l’esperienza di tirocinio e superato l’esame di stato, devono specializzarsi per diventare dei futuri psicoterapeuti professionisti. 

Tieni conto che le scuole di psicoterapia sono molto diverse una dall’altra, anche se hanno lo stesso orientamento clinico.

Quindi cerca di fare la scelta giusta! Questa scelta determina il professionista che diventerai!

Su come scegliere la scuola di psicoterapia ne abbiamo parlato in maniera approfondita in questo articolo. Buona lettura!

Perchè EIST è una scuola eccellente di psicoterapia ad orientamento sistemico relazionale

Fondata da Valeria Ugazio, la scuola di psicoterapia sistemico relazionale EIST ti immette subito nell’attività clinico-terapeutica.

Già dalla prima settimana intensiva, con cui si apre il corso, verrai introdotto attraverso casi clinici nel way of thinking del pensiero sistemico. 

Lavorerai con videoregistrazioni, sintesi e trascritti di sedute e potrai già assistere in diretta a sedute individuali, di coppia o familiari.

Inoltre, potrai metterti in gioco direttamente con esercizi di role-playing e inizierai la formazione personale

Attraverso questa prima settimana intensiva comincerai a vedere i rapporti interpersonali e le emozioni con occhi nuovi!

La didattica EIST: un nuovo modo di fare formazione

Nella scuola di psicoterapia EIST, sperimenterai la didattica induttiva in cui:

  • l’esempio concreto e la pratica precedono la teoria;
  • l’attenzione alla tecnica e alla strategia terapeutica, anticipano la riflessione sui presupposti che guidano le scelte cliniche;
  • ogni concetto, ogni intervento, ogni tecnica è illustrato e spiegato attraverso esercitazioni, simulazioni, lavoro individuale e di gruppo;
  • già dal primo anno, l’osservazione e la discussione di sedute in diretta, ti permetteranno di cimentarti con un’attività clinica che non è stata preventivamente scelta e pensata per la didattica, ma è così come si presenta nella normale attività professionale; 
  • il lavoro clinico sulla casistica che i terapeuti in formazione affrontano durante il tirocinio, la propria pratica privata o nei servizi è costantemente oggetto di supervisioni oltre che essere utilizzati come materiale clinico esemplificativo;
  • l’allievo viene informato degli obiettivi formativi che è bene che raggiunga anno per anno e stimolato e aiutato dalla figura del tutor a monitorare personalmente la sua formazione.

Queste attività sono il cuore di una didattica che non ripete in alcun modo l’esperienza universitaria perché il suo obiettivo è formare un professionista!

É una didattica attiva che mette al centro del percorso formativo l’allievo, le sue esigenze formative, le sue caratteristiche personali. 

Una parte importante dell’attività della nostra scuola di psicoterapia riguarda le caratteristiche personali dei nostri allievi, la storia familiare e individuale dentro la quale si sono formate.

L’obiettivo è rendere l’allievo consapevole dei propri stili relazionali e di come interagiscono con i pazienti.

Questa attività riflessiva, di conoscenza di se stessi, deve aiutare l’allievo a individuare le proprie risorse e i propri vincoli, e a trasformare gli stessi vincoli in risorse ai fini del processo terapeutico.

Cosa imparerai nella nostra scuola di specializzazione in psicoterapia sistemico relazionale?

Apprenderai una professione, quella di psicoterapeuta! 

La scuola ha un orientamento sistemico-relazionale, imparerai quindi a condurre terapie sistemiche individuali, familiari e di coppia

Acquisirai anche una conoscenza delle psicoterapie cognitiviste e degli sviluppi contemporanei della psicoanalisi grazie a:

  • a supervisioni congiunte in cui un docente della scuola, insieme ad un collega cognitivista o a uno psicoanalista, condurrà supervisioni di terapie individuali condotte da allievi della scuola 
  • seminari a più voci dove terapeuti sistemici, cognitivisti e psicoanalisti affrontano uno stesso tema
  • seminari in cui terapeuti cognitivisti o psicoanalisti affrontano un argomento specifico di cui hanno una riconosciuta competenza 

Ti farai così un’idea chiara delle differenze fra le psicoterapie sistemiche e le psicoterapie cognitiviste e a orientamento psicoanalitico. Questa conoscenza ti servirà molto quando dovrai interagire con colleghi di altro orientamento come accade di regola nei servizi, ma anche nella libera professione. Di questo te ne accorgerai già durante il tirocinio.

Esaminiamo ora in dettaglio quello che imparerai.

Imparerai l’abc della psicopatologia e della diagnosi

Già durante il percorso universitario avrai accumulato conoscenze sulla psicopatologia e sul processo diagnostico. 

La nostra scuola di psicoterapia ti aiuterà ad approfondire queste conoscenze. La psicopatologia e i contesti relazionali che lo alimentano sono al centro dell’interesse della nostra scuola di psicoterapia.

L’attenzione principale è alle quattro psicopatologie più diffuse:

  • disturbi alimentari;
  • disturbi dello spettro fobico;
  • disturbi ossessivo-compulsivi;
  • depressioni e altri disturbi dell’umore.

Ogni anno della scuola ha il focus su una di queste quattro psicopatologie.

Inoltre, verranno affrontati soprattutto nel primo biennio i disturbi più diffusi nei bambini:

  • obesità infantile e altri disturbi alimentari
  • enuresi ed encopresi
  • disturbi del sonno 
  • disturbi della condotta
  • disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (A.D.H.D.)
  • disturbi di apprendimento
  • fobie (fobia scolare, fobie degli animali, etc.)
  • disturbo ossessivo-compulsivo
  • disregolazione dell’umore
  • balbuzie, mutismo selettivo e altri disturbi della comunicazione
  • autismo
  • autolesionismo
  • bullismo
  • affido e adozione
  • abuso e violenza domestica

Mentre nel secondo biennio l’attenzione sarà rivolta anche ai:

  • i disturbi di personalità
  • i disturbi della condotta e delinquenza 
  • gli esordi psicotici nei giovani

 Molto impegno soprattutto nel primo biennio è dedicato a:

  • i processi di valutazione e la diagnosi individuale e relazionale nel contesto della consultazione sistemica;
  • uso dei test soprattutto quando il portatore del problema è il bambino.

La terapia non può prescindere dalla diagnosi. Ti insegneremo a costruire percorsi diagnostici coerenti con la prospettiva sistemica. 

La nostra scuola di psicoterapia ti offre competenze che riguardano l’intero percorso entro cui viene formulata la diagnosi, dalla prima telefonata del paziente alla restituzione finale.

Apprenderai una diagnosi e una valutazione capace:

  • di guidare il processo terapeutico;
  • di suggerire indicazioni precise per tribunali, scuole, comunità;
  • di rispondere in modo chiaro alle domande dei pazienti e delle loro famiglie, sempre più confusi dal proliferare di etichette diagnostiche, spesso prive di senso.

Questa capacità diagnostica trascende la diagnosi nosografica propria del DSM o dell’ICD e non ha nulla a che fare con l’etichettare o peggio discriminare chi ha problemi.

É una valutazione diagnostica esplicativo-relazionale che orienta il progetto terapeutico, indicando al clinico ciò che deve essere modificato e le risorse su cui può contare nel corso del processo di trasformazione.

1. Apprenderai i percorsi diagnostici personalizzati

La nostra scuola di psicoterapia ti insegnerà a personalizzare il percorso diagnostico. 

Questo cambia radicalmente in rapporto:

  • all’obiettivo per il quale viene effettuato
  • al contesto in cui avviene la consultazione
  • allo stadio di sviluppo del soggetto per il quale viene richiesto;
  • al soggetto che lo richiede (l’interessato, la famiglia, la scuola, il tribunale….)

2. Ti insegneremo cosa sono le diagnosi individuali sistemiche e quando vengono utilizzate

La diagnosi individuale sistemica esamina tutte le caratteristiche del soggetto, rilevabili attraverso il colloquio clinico e strumenti testistici. 

Ci sono due aspetti che distinguono la diagnosi individuale sistemica da altri tipi di diagnosi: 

  • le caratteristiche psicologiche individuali sono viste e analizzate in rapporto alla posizione del soggetto nei contesti a cui appartiene;
  • l’individuazione dell risorse anche in quei fattori che sembrano soltanto vincoli o deficit.

3. Imparerai le diagnosi relazionali

Il modello sistemico-relazionale è l’unico nel variegato panorama della psicoterapia ad aver elaborato un pensiero diagnostico capace di valutare non solo l’individuo ma anche contesti di cui è parte.

La diagnosi relazionale riguarda prima di tutto i contesti familiari di cui l’individuo è parte (nucleo di convivenza, famiglia di origine, famiglie di eventuali precedenti matrimoni) e le rispettive interazioni.

La diagnosi relazionale considera molte dimensioni, tra cui alleanze, coalizioni, confini, assi generazionali, coesione, etc., che vengono esaminate nella loro interazione.

Tiene conto dell’inviante, di tutte le agenzie e dei colleghi coinvolti nel caso, del pattern con cui il cliente e la sua famiglia si collegano alla terapia

4. Capirai come utilizzare i test nella consultazione sistemica

Nella nostra scuola di psicoterapia apprenderai un serie di test, sviluppati dall’approccio sistemico e che si ispirano ad esso. 

Ti insegneremo anche ad utilizzare e a integrare nella consultazione sistemica test che non appartengono alla tradizione sistemica, ma che possono essere utili e di supporto nel rispondere a quesiti specifici.

5. Una diagnosi relazionale e individuale che sfrutta anche le risorse rilevabili nel danno stesso

Il modello sistemico-relazionale è l’unico modello psicoterapeutico ad aver elaborato un pensiero diagnostico capace di individuare le risorse persino nelle esperienze traumatiche

Una parte considerevole della diagnosi individuale e relazionale è dedicata ad individuare queste risorse, preziose per il processo terapeutico.

6. Imparerai come comunicare la diagnosi e su cosa centrarti

É questo uno degli aspetti più affascinanti del processo diagnostico. 

La comunicazione della diagnosi deve essere utile a chi la riceve.

Alcuni colleghi chiesero a J. Haley, uno dei fondatori delle psicoterapie sistemiche: “Cosa faresti in un caso di legame simbiotico insolubile fra madre e figlio?” 

La risposta di J. Haley fu fulminante: “ Non permetterei mai che questo fosse il problema!”.

La scuola di psicoterapia EIST non è una scuola di terapia familiare

Nella scuola di psicoterapia EIST imparerai a condurre psicoterapie sistemiche individuali, oltre che terapie di coppia e familiari.

I trattamenti familiari e di coppia esprimono in modo emblematico alcuni assunti di base della tradizione sistemico-relazionale, tuttavia le psicoterapie sistemico-relazionali non si identificano con la psicoterapia della famiglia

Come ha in più occasioni sottolineato Valeria Ugazio, fondatrice della scuola di psicoterapia EIST, le psicoterapie sistemiche scaturiscono da una prospettiva terapeutica “la cui specificità consiste nella modalità con cui concepisce gli eventi mentali e la psicopatologia, e non semplicemente come una tecnica terapeutica rivolta al nucleo familiare”.

Non solo percorsi terapeutici individuali, familiari e di coppia

Chi coinvolgere nel trattamento – l’intera famiglia, un suo sottosistema, il singolo individuo – è un problema che attiene alla tecnica terapeutica. Imparerai ad affrontarlo e risolverlo nel corso della fase di consultazione che di regola precede il trattamento vero e proprio.

Per questo la nostra scuola di psicoterapia offre una formazione alle tre principali forme di trattamento psicoterapeutico:

  • individuale;
  • di coppia;
  • familiare. 

Il modello concettuale, il way of thinking, rimane lo stesso ma la tecnica terapeutica cambia molto a seconda del setting.

I profondi cambiamenti che il tessuto sociale ha conosciuto negli ultimi decenni accrescono l’interesse per i percorsi misti.

La separazione e il divorzio sono ormai diventati eventi normali del ciclo di vita, di conseguenza le famiglie ricomposte e segmentate in sottosistemi legalmente scissi sono sempre più presenti nella pratica clinica. 

Il coinvolgimento contemporaneo di tutti in questi assetti familiari può essere controindicato.

É oggi difficile ottenere l’impegno delle famiglie, anche di quelle che non hanno conosciuto separazioni, divorzi e ricomposizioni. 

Le famiglie che incontro nel mio lavoro clinico sono molto più disponibili, rispetto a vent’anni fa, a lasciarmi entrare nella loro storia, a rendermi partecipe dei problemi che riguardano la loro intimità. Ma è più difficile oggi, di quanto fosse in passato, mantenere il coinvolgimento di tutti in un’esperienza terapeutica di una certa durata. Genitori e figli, ma anche i fratelli tra loro si sentono meno responsabili gli uni verso gli altri, ciascuno ha un senso più acuto di impegno verso il proprio progetto di vita individuale. La stessa organizzazione pratica della vita nelle nostre società rende problematico un impegno terapeutico prolungato, tanto più per un altro membro della famiglia”(V. Ugazio,2006). 

É quanto sostiene la nostra direttrice scientifica da circa quindici anni. 

Oggi la globalizzazione ha reso questo trend ancora più evidente:

  • le famiglie con figli adolescenti e post adolescenti hanno spesso uno o due figli che studiano o lavorano all’estero;
  • spesso anche un genitore lavora lontano da casa;
  • sempre più frequenti sono le famiglie ricomposte.

Proprio per queste mutate situazioni sociali, la EIST si è dedicata fin dalla sua fondazione a perfezionare le strategie e le tecniche terapeutiche per le terapie individuali e i percorsi misti pianificati, riservando la terapia familiare classica soprattutto quando il paziente è un bambino. 

Per le stesse ragioni, la maggioranza dei terapeuti EIST lavora anche on line, specialmente per le terapie individuali e di coppia. La nostra scuola di psicoterapia fornisce indicazioni anche per questa modalità di terapia.

L’utilizzo sempre più frequente dei percorsi misti

La nostra scuola di psicoterapia fornisce tutti gli strumenti utili per la conduzione di “percorsi misti” in cui:

  • in un itinerario individuale, può essere inserita una fase di lavoro con la famiglia;
  • in una terapia familiare, può essere introdotta una fase di approfondimento individuale con un membro;
  • ad una terapia di coppia, può aggiungersi una fase di lavoro con i figli.

Non si tratta di terapie in cui si rende necessaria una modificazione del setting in rapporto ad eventi e a situazioni impreviste o imprevedibili al momento della scelta dell’intervento.

Queste terapie sono caratterizzate da una metodica specifica, che prevede e pianifica un’alternanza di setting già all’inizio del trattamento

Sono un po’ più complesse delle altre forme di trattamento, ma le imparerai perché ti serviranno molto!

Questi trattamenti misti pianificati si rivelano sempre più utili perché è difficile, e a volte persino inopportuno, coinvolgere l’intera famiglia per l’intero percorso terapeutico anche quando, come accade nei casi più gravi, il coinvolgimento della famiglia è essenziale.

Imparerai ad utilizzare percorsi terapeutici diversi in rapporto alla psicopatologia e alla semantica della famiglia

Nel secondo biennio, imparerai a differenziare il processo terapeutico in rapporto alla psicopatologia, al problema e al tipo di semantica per la quale viene richiesta la terapia.

Alcune storie terapeutiche possibili entro una semantica, nel senso di produttive, facili da attuare, capaci di stimolare il cambiamento, sono proibite per un’altra, nel senso che sono difficili da sviluppare, incapaci di promuovere le risorse, destinate a sollecitare dropout o circuiti disfunzionali” (V. Ugazio, 2012)

Molte delle differenze che sono richieste con psicopatologie e semantiche diverse derivano da differenze che riguardano la relazione terapeutica. 

Una ricerca recente che abbiamo condotto ha dimostrato che “I clienti con disturbi fobici, ossessivo-compulsivi, alimentari, depressivi e bipolari costruiscono la relazione terapeutica in modi piuttosto diversi, coerenti rispettivamente con la semantica di libertà, bontà, potere e appartenenza” (V.Ugazio, S.Guarnieri, P. Anselmi, D.Castelli, M. Pandolfi,2020).

La modulazione delle strategie terapeutiche in rapporto alla psicopatologia del paziente e alla semantica della famiglia è una specificità della EIST, frutto di un lavoro di ricerca clinica che ha preso le mosse dalla teoria delle polarità semantiche familiari (Ugazio, 1998-2012-2018) ed è stato condotto negli ultimi vent’anni da Valeria Ugazio e da alcuni dei docenti e ricercatori EIST, tra cui Laura Colangelo, Lisa Fellin, Ferdinando Salamino, Daniele Castelli, Stella Guarnieri, Marisa Pandolfi.

Una forma di terapia che cambia la storia narrata del passato dell’individuo e della famiglia

Non è possibile cambiare le esperienze che abbiamo vissuto nel corso della nostra vita.

Possiamo invece cambiare la storia che noi ci raccontiamo sul nostro passato.

Se lo faremo, nuovi eventi, fatti e esperienze dimenticate, emergeranno alla memoria.

Un indicatore particolarmente importante per capire se una terapia funziona è l’emergere nei pazienti – siano essi individui o coppie o famiglie – di nuovi ricordi di episodi relazionali, fatti, emozioni, interazioni che le vecchie narrative avevano spinto nell’oblio.

I nostri pazienti trasformano se stessi cambiando le storie che si raccontano sulle loro vite.

Grazie alla nostra scuola di psicoterapia sarai in grado di liberare i tuoi clienti da narrative soffocanti

Una delle competenze principali che acquisirai attraverso la nostra scuola di psicoterapia sarà aiutare le persone a liberarsi di narrative soffocanti.

Le narrative su se stessi, sul partner, sui familiari, sulla storia della famiglia che imprigionano i nostri pazienti entro le angustie del rancore, li consegnano alla paura e alla dipendenza, li isolano nel risentimento, li espongono alla rabbia e ai gesti autolesivi e devono essere abbandonate dai nostri clienti . 

Per poterle abbandonare è necessario elaborare nuove prospettive.

Attraverso la scuola di psicoterapia imparerai a costruire assieme alle persone che si rivolgeranno a te nuovi punti di vista capaci di rompere l’isolamento e l’emarginazione, di far superare loro paure e dipendenze, di aprire nuove e più funzionali relazioni.

Una terapia che non fa affidamento solo sulle parole ma introduce l’azione attraverso prescrizioni e esperienze concrete

Le psicoterapie sistemiche, soprattutto negli ultimi trent’anni, hanno spostato l’attenzione dagli aspetti pragmatici della comunicazione a quelli semantici, da quello che le persone fanno nel corso delle interazioni reciproche ai significati che attribuiscono al comportamento interattivo.

La nostra scuola di psicoterapia dà una grande importanza agli interventi di ristrutturazione semantica. 

Valeria Ugazio ha elaborato la teoria delle polarità semantiche familiari (Ugazio, 1998-2012-2018) che è un modello sistemico di interpretazione della personalità e dei suoi sviluppi psicopatologici che si fonda proprio sui significati e sulle emozioni che ne sono alla base. 

Tuttavia la scuola ritiene parimente importanti le tecniche che fanno leva sul comportamento, sull’azione.

Imparerai un approccio pragmatico alla psicoterapia

La nostra scuola di psicoterapia è ben lontana dal costruttivismo razionalistico e cognitivizzante, ma anche da un costruzionismo che fa troppo affidamento sulla parola, sulla storia raccontata. 

Si inserisce, con elementi di sostanziale novità, nella tradizione sistemico-relazionale aperta da Gregory Bateson e dalla scuola di Palo Alto e non ne ha dimenticato la lezione!

Per questo, soprattutto durante i primi due anni della nostra scuola di psicoterapia, apprenderai concetti e interventi tipici dell’approccio pragmatico di Watzlawick, Haley, Selvini Palazzoli, Minuchin.

Questo approccio, che ha caratterizzato il modello sistemico alle sue origini, è assai poco interessato alla storia raccontata.

Al contrario è tutto focalizzato su quanto le persone fanno nel qui ed ora delle loro interazioni reciproche.

Ovviamente, ti insegneremo una versione aggiornata e rivista dell’approccio pragmatico. 

Oltre alle prescrizioni comportamentali, che sono tra gli interventi più tipici dell’approccio pragmatico, imparerai a costruire e a inserire nel processo terapeutico le esperienze falsificanti che recuperano la dimensione del fare entro una prospettiva costruzionista.

I processi di costruzione e ricostruzione dei significati mettono in gioco l’azione non meno della parola, tanto i livelli taciti di ordinamento dell’esperienza, quanto i processi consapevoli di pensiero (convinzioni, sistemi di credenza, aspettative, etc.). Rimanere ancorati ad uno solo di questi livelli può essere fortemente limitante” ( Ugazio & Ferrario, 1991)

Scuola di psicoterapia EIST: un’esperienza formativa che cambierà il tuo mindset 

Attraverso la frequentazione della scuola di psicoterapia imparerai, non soltanto a trasformare le vite delle persone che si rivolgeranno a te, ma cambierai te stesso.

Grazie all’esperienza formativa che farai, guarderai con occhi nuovi le tue relazioni con la famiglia di origine, con il tuo partner, la tua storia.

Esplorazione della tua storia familiare e delle tue relazioni personali

Questo percorso trasformativo avverrà prima di tutto esplorando la tua storia individuale e familiare

Nel primo biennio:

  • lavorerai sulle motivazioni che ti hanno indotto a scegliere una professione, quella di psicoterapeuta, per molti aspetti particolare;
  • scoprirai come le tue caratteristiche personali siano connesse, in modo a volte imprevisto e sorprendente, a quelle di altri membri della tua famiglia;
  • esplorerai il modo di costruire il significato della tua famiglia e le emozioni che lo alimentano e che di conseguenza caratterizzano il tuo modo di sentire.

Nel secondo biennio:

  • lavorerai su come le tue caratteristiche personali, maturate entro la famiglia nucleare ma anche in altri contesti emotivamente importanti per te, interagiscono con pazienti con patologie e mondi semantici diversi. 
  • esplorerai le ragioni di eventuali impasse con certe tipologie di pazienti e famiglie;
  • capirai perché ti senti più a tuo agio in alcuni setting, ad esempio di coppia, anziché in altri, ad esempio individuali o familiari.

L’allievo al centro del suo percorso formativo

Il fatto che tu stesso monitorerai il tuo percorso formativo e i suoi obiettivi contribuirà a rendere trasformativa l’esperienza della nostra scuola di psicoterapia. 

Non sarai mai trattato come uno studente, ma sarai a tutti gli effetti considerato un collega che sta formandosi con l’aiuto di colleghi esperti.

Gregory Bateson (1972) ci ha messo in guardia sui rischi di una formazione troppo lunga attraverso il concetto di “deutero-apprendimento”: apprendendo qualsiasi cosa, qualsiasi contenuto, non apprendiamo soltanto quel contenuto conoscitivo ma anche lo schema di interazione entro il quale quella conoscenza viene trasmessa.

Se continuassimo a trattarti come uno studente universitario, rischieresti di diventare alla fine del percorso formativo un bravo studente universitario anziché un bravo psicoterapeuta!

Sarebbe un esito davvero negativo perché le caratteristiche che un terapeuta competente deve possedere sono ben diverse da quelle di uno studente!

Proprio per questo cerchiamo quanto più possibile di trasmetterti le conoscenze attraverso relazioni collaborative dove i docenti della scuola sono colleghi esperti al tuo fianco che ti aiutano a raggiungere i tuoi obiettivi. 

Assieme a loro valuterai il raggiungimento degli obiettivi e le eventuali difficoltà riscontrate. Se è necessario, modificherai con il loro aiuto gli obiettivi e le modalità per raggiungerli.

La nostra scuola di psicoterapia ti aiuterà a trovare il tuo personalissimo stile professionale e psicoterapeutico.

Non vogliamo in alcun modo formare psicoterapeuti omologati da uno stesso stile.

Ciascuno deve trovare nel corso dei quattro anni della frequenza della scuola di psicoterapia un proprio stile personale che valorizzi le proprie risorse e renda funzionali alla terapia anche i propri vincoli. 

La nostra scuola di psicoterapia ti insegna un way of thinking e anche tantissime tecniche terapeutiche. Questo patrimonio è comune a tutti i colleghi che hanno frequentato la nostra scuola. Ma la scuola ti aiuta anche a sviluppare il tuo modo personalissimo di essere psicoterapeuta che sarà diverso da quello dei tuoi maestri. 

Per noi questo è un punto importante!

Osserva il modo di vivere la professione e di lavorare dei colleghi che si sono formati presso la nostra scuola, molti hanno ormai acquisito una notorietà anche sui social. Seguili sui social, attraverso i loro scritti e le loro interviste. Verificherai tu stesso quanto sono diversi.

Ecco il TEDx del nostro ex allievo Luca Mazzuchelli, ora specialista e speaker affermato sulla scena psicoterapeutica nazionale e internazionale. Lui stesso vi parla di quanto sia cambiato.

Il cambiamento è ovviamente un punto centrale per la formazione EIST.

E guardate questo video di Ferdinando Salamino. Anche lui ex allievo EIST, anche lui parla di cambiamento. É Luca Mazzuccheli ad intervistarlo. Era il 2013. Notate quanto sono diversi, anche se entrambi competenti, e quanta strada hanno fatto entrambi in mondi diversi! 

Porre l’allievo al centro del suo percorso formativo significa per noi prima di tutto aiutarlo a sviluppare un proprio irripetibile stile psicoterapeutico che valorizzi le proprie risorse personali

I docenti della scuola di psicoterapia EIST: imparerai dai migliori psicoterapeuti sistemici

docenti scuola di psicoterapia EIST

La ricchezza maggiore della nostra scuola di psicoterapia sono i suoi docenti. 

Dai un’occhiata ai loro CV e te ne renderai conto!

Clicca sul seguente link per avere un’idea:

I docenti della scuola di psicoterapia EIST

Sono tutti psicoterapeuti estremamente competenti e con una lunga esperienza. 

Hanno lavorato o lavorano in contesti diversi:

La maggior parte di loro hanno ricevuto la loro formazione alla Eist. 

I docenti senior, come Valeria Ugazio, la fondatrice e direttrice della scuola, e Maurizio Viaro hanno preso parte attiva, fin dalle sue origini, al Milan Approach lavorando e scrivendo con Mara Selvini Palazzoli, che di tale approccio è stata la fondatrice.

Molti dei nostri docenti sono anche ricercatori, oltre che clinici , e cercano di sviluppare il modello terapeutico appreso in nuove direzioni.

Tre di loro insegnano e fanno clinica in Università britanniche: Lisa Fellin a East London, Ferdinando Salamino e Elisa Gusmini a Northampton.

I temi principali su cui la scuola ha dato contributi creativi, riconosciuti a livello nazionale e internazionale sono:

  • disturbi alimentari e strategie terapeutiche con cui affrontarli (Valeria Ugazio, Maurizio Viaro, Lisa Fellin, Manuela Genchi) 
  • disturbi ossessivo-compulsivi e strategie terapeutiche per il loro trattamento (Valeria Ugazio) 
  • disturbi fobici e strategie terapeutiche per affrontarli (Valeria Ugazio) 
  • depressioni e disturbi dell’umore e strategie terapeutiche per superarli (Valeria Ugazio, Ferdinando Salamino)
  • terapia di coppia (Valeria Ugazio, Lisa Fellin, Ferdinando Salamino, Elisa Gusmini)
  • relazione terapeutica (Valeria Ugazio)
  • violenza intra-familiare (Lisa Fellin)
  • adozione (Ferdinando Salamino, Elisa Gusmini)
  • narcisismo e disturbi di personalità border (Laura Colangelo,Gabriella Gandino) 
  • lutto (Federica Azzetta)
  • ermeneutica sistemica (Valeria Ugazio, Lisa Fellin)
  • terapia familiare con bambini (Maurizio Viaro, Ferdinando Salamino, Elisa Gusmini Edoardo Perini)
  • difficoltà scolastiche e consultazioni quando la scuola è l’inviante o il committente (Edoardo Perini)
  • psicoterapia con giovani delinquenti o ragazzi difficili (Marco Schneider)
  • analisi semantica (Valeria Ugazio, Lisa Fellin)
  • analisi conversazionale (Maurizio Viaro)

Alcuni di questi contributi sono espressione del modello della personalità e dei suoi sviluppi psicopatologici elaborato da Valeria Ugazio, altri sono elaborazioni sistemiche non direttamente collegate al modello delle polarità semantiche familiari.

Il supporto e le supervisioni dei nostri docenti e non solo

Le supervisioni iniziano dal primo anno e hanno naturalmente un ruolo centrale in tutto il percorso formativo. Oltre alle normali supervisioni, in cui l’allievo presenta un caso che sta trattando ad un docente, le nostra scuola di psicoterapia ne prevede altre due forme:

1. Supervisioni on line sul processo terapeutico 

Queste supervisioni, ideate e condotte da Maurizio Viaro, ti consentono di essere seguito per tutto il processo terapeutico.

Avrai Maurizio Viaro, uno psicoterapeuta con competenze e esperienza difficilmente eguagliabile, che ti assisterà per tutto l’iter terapeutico, ma anche i tuoi colleghi di corso potranno darti suggerimenti e idee.

2. Supervisioni congiunte con colleghi di altro indirizzo psicoterapeutico

Potrai essere protagonista e assistere a supervisioni congiunte in cui il caso portato in supervisione da te o da un altro collega viene discusso congiuntamente da un docente della nostra scuola con un collega cognitivista o con uno psicoanalista.

Solitamente discutiamo con i colleghi di altri orientamenti casi di psicoterapie individuali e scegliamo i nostri interlocutori fra i leader delle psicoterapie cognitive o della psicoanalisi.

Hanno fatto spesso supervisioni congiunte con noi tra gli altri: Franco Borgogno, Giancarlo Dimaggio, Maurizio Dodet, Francesco Mancini, Antonio Semerari, Fabio Veglia.

La partecipazione alla ricerca

La EIST è un centro di ricerca collegato sia a centri di ricerca universitari e non, italiani e internazionali. Tutti i docenti della scuola, molti dei quali sono ricercatori oltre che psicoterapeuti, tengono conto nel loro insegnamento dei risultati della ricerca sulla psicoterapia. 

Sarai quindi informato sul dibattito internazionale in tema di ricerca sulla psicoterapia, particolarmente ricco a proposito dei risultati delle psicoterapie, dei metodi di valutazione dei risultati della psicoterapia, della relazione e dell’alleanza terapeutica.

Non ti insegneremo, invece, a diventare un ricercatore.

La nostra scuola di psicoterapia ti insegna una professione, quella di psicoterapeuta, non quella di ricercatore. Tuttavia, saremo felici di accoglierti nei nostri gruppi di ricerca. Puoi fare ricerca con noi. 

Durante il secondo biennio dedicheremo un modulo della scuola ad insegnarti i metodi qualitativi applicabili ai single case. Si tratta del tipo di ricerca più vicina alla clinica. 

Se imparerai ad applicare i metodi qualitativi a casi clinici potrai far sentire la tua voce a livello internazionale. La conoscenza dei metodi qualitativi e la loro applicazioni a trascrizioni di sedute terapeutiche ti permette di fare ricerche pubblicabili su riviste del nostro settore con audience internazionale.

Non è facile pubblicare su riviste accreditate ma noi ti aiuteremo assistendoti nella stesura di eventuali articoli anche quando avrai terminato la scuola. Ci teniamo molto che i nostri colleghi e psicoterapeuti formati alla EIST partecipino al dibattito internazionale con articoli, libri, loro contributi a conferenze, convegni e workshop.

Il network internazionale EIST

Uno degli asset della nostra scuola di psicoterapia è la presenza di un network di relazioni internazionali che chi di voi sa l’inglese può utilizzare a pieno.

Abbiamo relazioni e collaborazioni in gran parte del mondo. 

Gli scambi sono particolarmente intensi con la Gran Bretagna, la Germania, l’Irlanda, la Svizzera e pressoché tutti gli altri Paesi europei, con gli Stati Uniti, il Canada, e l’America Latina.

A Città del Messico, nella città universitaria, Valeria Ugazio, Ferdinando Salamino, Elisa Gusmini e Lisa Fellin stanno, ad esempio, tenendo master sul modello delle polarità semantiche familiari.

Tre dei nostri docenti, Lisa Fellin (East London University), Elisa Gusmini e Ferdinando Salamino (University of Northampton), insegnano ormai da diversi anni in Università britanniche e svolgono attività clinico-terapeutiche in Inghilterra.

Stiamo attualmente svolgendo una ricerca sulle coppie interculturali con il London Intercultural Couple Centre diretto da Reennee Singh

Le iniziative internazionali in cui siamo coinvolte sono molte, queste sono soltanto alcuni esempi.

Partecipiamo al board e alla redazione scientifica di molte riviste internazionali tra cui: Journal of family therapy, Journal of constructivist psychology, Contemporary family therapy, TPM. Testing, Psychometrics and Methodology in Applied Psychology 

Siamo parte di pressoché tutte le società internazionali di terapie sistemiche e familiari.

Il programma: percorso formativo e didattica attiva della scuola di psicoterapia EIST

Cliccando questo link trovi il programma completo suddiviso per anno.

Giorni ed orari delle attività

Tutte le attività formative sono infrasettimanali: 

  • il primo anno il lunedì;
  • il secondo anno il mercoledì;
  • il terzo il giovedì;
  • il quarto il venerdì. 

I seminari si svolgono il sabato o il venerdì o, quelli più lunghi, venerdì e sabato. 

La settimana in cui ci sono seminari non c’è lezione.

Le lezioni sono di regola sospese in luglio e in agosto, salvo recuperi.

L’orario è dalle 9.00 alle 18.00 con un ora di intervallo per il lunch

Seminari e workshop

Organizziamo due tipi differenti di seminari e workshop:

1. Finestre sul mondo

Chiamiamo così i seminari e workshop che vengono tenuti da colleghi di orientamento cognitivista o psicoanalitico, o con orientamento sistemico ma con un approccio diverso dal nostro.

In questi seminari viene presentata una proposta terapeutica o interpretativa innovativa su una psicopatologia o su un problema o su una tecnica specifica.

La nostra scuola di psicoterapia ritiene interessante proporre differenti approcci come oggetto di dibattito.

2. Nuove proposte

Sono seminari o workshop in cui uno o più docenti EIST o e colleghi che si sono formati alla EIST presentano una proposta nuova, che hanno sviluppato recentemente, su un tema specifico.

Spesso questi seminari sono a più voci e coinvolgono colleghi di altri orientamenti come discussant o come co-protagonisti. 

Questi seminari si svolgono il venerdì o il sabato, quelli più lunghi venerdì e sabato, e sono in genere aperti (non sempre) agli ex allievi e ai colleghi interessati.

Il tirocinio con gli enti pubblici e privati convenzionati

Il tirocinio della nostra scuola di psicoterapia, come per tutte le altre scuole di psicoterapia, deve essere svolto presso strutture pubbliche e/o private accreditate dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in cui l’allievo possa fare esperienza della specificità del proprio modello, come previsto dall’articolo 8 del Regolamento ministeriale 509/1998.

La EIST ha stipulato più di 50 convenzioni con sedi idonee per lo svolgimento del tirocinio. La maggioranza sono in Lombardia, ma non poche sono in Piemonte, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia. 

Puoi visualizzare l’elenco delle strutture QUI.

La nostra scuola di psicoterapia è disponibile ad attivare altre convenzioni suggerite dagli allievi purchè l’esperienza offerta dalla sede sia conforme ai requisiti ministeriali e consona al modello sistemico.

Le sedi delle nostre scuole di specializzazione in psicoterapia sistemico relazionale EIST

La scuola di specializzazione in terapia sistemica ha due corsi a Milano e a Bergamo, entrambi riconosciuti e abilitati dal MIUR (con D.M. 9.07.2001, G.U. n°238 del 12.10.2001 per la sede di Milano e con D.M. 7.12.2005, G.U. n°.295 del 20.12.2005 per la sede di Bergamo).

La scuola di psicoterapia di Milano

Consolidata ormai da un’esperienza quasi ventennale, ha formato più di 300 psicoterapeuti, tutti molto attivi nella professione, impegnati in molti campi e servizi diversi.

Il 87% degli psicoterapeuti EIST svolge almeno 20 ore la settimana come psicoterapeuta nel proprio studio privato o entro strutture private o pubbliche. L’80% di questi, accanto all’attività psicoterapeutica, svolge attività professionali come psicologo

Alcuni di loro sono molti molto noti entro il nostro mondo professionale e anche presso il grande pubblico. Sono tanti i nostri ex-allievi che hanno acquisito posizione di rilievo e di responsabilità.

Non pochi insegnano nelle Università italiane o dirigono centri clinici e di ricerca.

La nuova sede di Bergamo

Aprirà a gennaio 2021. É un atto di coraggio e un’espressione di affetto aprirla in una data come questa. Bergamo è una delle città che più è stata provata dalla pandemia.

Da tanti anni volevamo aprire una sede a Bergamo perchè è una città dove abbiamo molti dei nostri docenti ed ex-allievi. 

Valeria Ugazio, la direttrice della scuola ha insegnato dal 2002 nell’Università di questa città contribuendo a creare i corsi di psicologia e a formare tanti colleghi psicologi. 

Abbiamo preso la decisione di aprirla proprio alle soglie del 2021 perché crediamo in Bergamo e vogliamo insieme ai nostri colleghi bergamaschi dare un piccolo contributo alla rinascita della città. 

Faremo, infatti, molte iniziative che coinvolgeranno i colleghi psicoterapeuti e la cittadinanza.

Come diventare psicoterapeuta con EIST?

studenti scuola di psicoterapia eist

Diventare il prossimo psicoterapeuta EIST è semplicissimo!

Continua a leggere l’articolo e scopri come entrare a far parte della nostra scuola di psicoterapia.

1. Requisiti di ammissione alla scuola di psicoterapia

  • devi esserti laureato in Psicologia o in Medicina e Chirurgia 
  • devi possedere l’abilitazione all’esercizio della professione

Per scoprire il percorso formativo e l’iter per diventare un futuro psicoterapeuta ti consigliamo di approfondire l’argomento con il seguente articolo:

Come diventare psicoterapeuta con EIST

2. Domanda di ammissione alla scuola di psicoterapia EIST

É necessario che ci mandi via mail, per posta ordinaria oppure di persona (così puoi dare anche un’occhiata alle nostre sedi):

  • la domanda di ammissione indirizzata alla direttrice della scuola
  • il curriculum dettagliato

Oppure clicca sul pulsante qui in basso e compila il form!

3. Colloquio di selezione

Successivamente sarai invitato ad un colloquio con la direttrice della nostra scuola di specializzazione o con un altro docente, durante il quale valuteremo insieme:

  • le tue motivazioni professionali e personali ad iniziare un percorso con noi
  • quanto il corso corrisponde o, al contrario, si discosta dalle tue aspettative
  • quanto la prassi terapeutica sistemica è congeniale al tuo modo di essere e di intendere la professione. 

4. Si può diventare psicoterapeuta a 40 anni?

Certamente! L’esperienza professionale e personale che avrai acquisito ti sarà di grande aiuto nel diventare psicoterapeuta. 

La scuola ti fornisce nuovi occhi con cui comprendere il comportamento delle persone, ti fornisce tanti strumenti per aiutare persone estremamente diverse a risolvere i problemi che le travagliano. Questa conoscenza tecnica va comunque applicata ad una situazione umana che deve essere capita. 

L’esperienza che avrai acquisito ti aiuterà molto a comprendere le situazioni che via via dovrai affrontare. 

Per questo, i tuoi quarant’anni saranno un titolo preferenziale per la tua ammissione alla scuola.

5. I criteri di selezione per accedere alla scuola di psicoterapia

Ecco come scegliamo i nostri futuri allievi:

  • motivazione alla professione di psicoterapeuta 
  • interesse verso le psicoterapie sistemiche
  • conoscenza della scuola e della sua proposta didattica attraverso la partecipazione a open day, la lettura di pubblicazioni, l’ascolto di interviste e soprattutto attraverso i suoi allievi ed ex allievi
  • esperienze professionali o di tirocinio o di volontariato in campo clinico

Questi sono per noi i criteri più importanti. Naturalmente, valutiamo anche altri aspetti tra cui il curriculum universitario, la tesi di argomento clinico e altre esperienze professionalizzanti.

Ma ciò che davvero conta è la motivazione e la sintonia fra la nostra proposta e le tue aspettative.

9 motivi per scegliere la scuola di psicoterapia EIST

Quindi, arrivati alla fine, vogliamo fare un recap e darti una mano a scegliere la scuola che ti farà diventare un professionista della psicoterapia.

Ecco perché la scuola di psicoterapia EIST può essere la tua scuola:

  1. Perché ti fornisce un nuovo modo di vedere il comportamento e i problemi personali e relazionali che travagliano le persone.
  2. Mentre imparerai a cambiare le persone che si rivolgono a te, trasformerai te stesso attraverso l’esperienza formativa che farai.
  3. Perché è una scuola con un approccio pratico, finalizzata ad insegnarti il mestiere di psicoterapeuta e a fornirti molti strumenti per affrontare situazioni cliniche diverse.
  4. Perché ha una didattica attiva, che non ripete in alcun modo l’esperienza universitaria. Già dalla prima settimana intensiva sarai posto a confronto con il lavoro clinico con i pazienti.
  5. Perché ti fornisce una preparazione alle terapie sistemiche individuali, di coppia, familiari. Inoltre, ti dà molti strumenti anche per affrontare percorsi “misti”, in cui vengono alternati i setting in modo pianificato.
  6. Perché ti dà strumenti flessibili, applicabili a contesti lavorativi diversi.
  7. Perché è una scuola aperta al dialogo, in cui si respira un’aria di libertà. La scuola ha un orientamento sistemico-relazionale ma è aperta al confronto con i colleghi cognitivisti, psicoanalisti e con tutte le prospettive cliniche presenti nel dibattito scientifico internazionale. É una scuola che ti abitua a confrontarti con punti di vista diversi perché nei contesti professionali collaborerai con persone che hanno idee e strumenti diversi dai tuoi. 
  8. Perché pone al centro la psicopatologia e ti insegna strategie terapeutiche diverse in rapporto alla psicopatologia del paziente.
  9. Perchè ti inserisce in una rete internazionale

Ora non ti resta che conoscerci meglio! 

Fissa un primo colloquio per diventare il prossimo psicoterapeuta EIST, cliccando sul pulsante qui in basso!

Vuoi diventare psicoterapeuta? Mentre facevi il tirocinio hai conosciuto qualche terapeuta che si è formato alla EIST? Hai visto qualche video di Luca Mazzucchelli o Ferdinando Salamino o di altri ex-allievi della scuola di psicoterapia EIST e ti chiedi come diventare uno psicoterapeuta come loro?

Diventare psicoterapeuta non è facile. Richiede un grande impegno ma ne vale la pena!

Ma prima di parlare di come diventare psicoterapeuta partiamo, prima di tutto dalle motivazioni che ti spingono ad intraprendere questa carriera professionale.

Indice

Perché diventare psicoterapeuta

Come diventare psicoterapeuta: il percorso formativo e gli step da affrontare

1. Laurea in psicologia o in medicina e chirurgia

2. Abilitazione all’esercizio della professione di psicologo o di medico

3. Scuola quadriennale di specializzazione in psicoterapia

Come diventare uno psicoterapeuta competente e preparato: 4 consigli da seguire

1. Ascolta e prendi spunto dai tuoi pazienti (sono più competenti di te)

2. Sii curioso

3. Diventa artefice del tuo progetto formativo

4. Leggi i romanzi, i drammi, vai al cinema, ascolta la musica

Come diventare psicoterapeuta grazie alla scuola di psicoterapia EIST

Perché diventare psicoterapeuta

La professione di psicoterapeuta è una delle più affascinati per tanti motivi:

  • Perché conoscerai te stesso, i tuoi limiti ma anche le tue possibilità, e approfondirai la conoscenza degli altri. L’oggetto del tuo lavoro saranno la mente, il comportamento umano, le relazioni interpersonali. La psicopatologia non è altro che una lente di ingrandimento dei processi normali. Lavorando con persone nevrotiche, psicotiche, con disturbi di personalità e sulle loro emozioni e sentimenti, amplierai le conoscenze su te stesso e sulle persone a te vicine.
  • La maggior parte delle professioni ti chiedono di dare il tuo tempo a qualcosa di esterno a te. Qualcuno è soddisfatto del proprio lavoro perché acquistando competenze specifiche migliora la propria autostima, perché ottiene denaro per sé e per coloro che ama. Altri si sentono invece frustrati, anche se guadagnano bene, perché defraudati, espropriati del proprio tempo, prosciugati a livello personale. Sentono di dare tanto e di non ricevere. Si sentono impoveriti dell’esperienza lavorativa perché si allontanano da se stessi e da quello che più interessa a loro durante le ore di lavoro. Lo psicoterapeuta, al contrario, esplora se stesso mentre esplora e interagisce con i suoi pazienti.
  • Perché trasformerai inevitabilmente te stesso mentre aiuterai i tuoi pazienti a cambiare, a trovare soluzioni creative per risolvere i loro problemi, a lasciare schemi disfunzionali di comportamento per abbracciare nuovi modi di percepirsi e di stare in relazione con gli altri. É un processo che inizia nel momento in cui cominci la tua formazione e che non terminerà mai. Quello che apprenderai per affrontare la psicopatologia, i conflitti intrapsichici e interpersonali, i comportamenti devianti lo applicherai inevitabilmente su te stesso dando avvio ad un processo di trasformazione personale e relazionale che ti accompagnerà durante tutta la tua vita professionale. L’attività psicoterapeutica ti pone sempre di fronte a problemi nuovi e imprevisti che aprono nuove riflessioni e interrogativi su te stesso e su quelli che ti stanno vicino.
  • Perché entrerai nelle vite di persone di età, condizioni sociali, competenze professionali, idee politiche, credenze religiose completamente diverse dalle tue e da quelle che frequenti abitualmente, di certo più omogenee a te. Nuovi mondi, che sarebbero stati a te per sempre sconosciuti, se non avessi abbracciato la professione psicoterapeutica, si apriranno davanti a te. La relazione terapeutica è anche un punto di osservazione privilegiato per capire i problemi sociali più ampi e i cambiamenti culturali del proprio tempo. Attraverso il lavoro clinico capirai meglio la società in cui vivi e le sue trasformazioni.
  • Perché non ti annoierai mai. L’attività clinica è sempre diversa, perché le persone ti pongono sempre nuovi problemi. Le psicopatologie cambiano, così come i conflitti di coppia, le strategie interattive degli individui, i vincoli, le risorse e le competenze delle famiglie.
  • Tutti questi aspetti della professione psicoterapeutica faranno di te una persona con un grande spessore umano. La tua personalità si arricchirà di tante sfaccettature diverse grazie ad un’esperienza unica e sempre diversa.

Se hai trovato la tua motivazione e senti la passione per la psicoterapia, non bruciare altro tempo prezioso. Mettiti a lavoro e inizia con il tuo percorso formativo.

Di seguito parleremo di come diventare uno psicoterapeuta e quali sono gli step da affrontare.

Come diventare psicoterapeuta: il percorso formativo e gli step da affrontare

Il percorso per diventare psicoterapeuta è impegnativo perché è una professione che richiede molte competenze, più di altre professioni. Ti occuperai della mente e del comportamento umano, un argomento estremamente complesso. 

Per di più i tuoi clienti avranno competenze psicologiche non trascurabili.

Tutti, nessuno escluso, dedicano tempo, energie e impegno a tentare di risolvere i propri problemi individuali e relazionali. Anche chi mette in atto comportamenti autodistruttivi non lo fa per ignoranza o per scarso impegno, ma perché quei comportamenti per quanto disfunzionali per chi li giudichi dall’esterno, senza conoscere il suo mondo, sono quelli che più risolvono i suoi problemi più pressanti.

Ben diversa è la posizione degli altri professionisti. Pensa ai clienti degli avvocati o dei notai: sono generalmente ignoranti della Legge, dei sui labirinti e tanto più del contesto giudiziario. Anche i clienti dell’architetto o dell’ingegnere edile sono ignari di edilizia e di tecniche costruttive.

Inoltre, solo la professione terapeutica mette così fortemente in gioco la persona del professionista, tanto che tutte le scuole si occupano, seppur in modo diverso, dei loro allievi anche come persone e cercano di incrementarne la riflessività.

Tutto questo per dirti che dovrai acquisire competenze elevate e continuare ad approfondirle nel corso della tua attività professionale. Non c’è posto in questa professione per l’improvvisazione e la superficialità.

Ma come diventare psicoterapeuta e quali sono gli step che dovrai affrontare?

1. Laurea in psicologia o in medicina e chirurgia

Nel nostro Paese la professione terapeutica è ben regolamentata. Siamo fortunati, e lo sono soprattutto i nostri utenti perché abbiamo ordini professionali che tutelano la qualità della formazione e dei trattamenti offerti. In Italia sia la laurea in psicologia che quella in medicina e chirurgia ti consentono l’accesso alla professione psicoterapeutica. 

La preparazione che ti forniscono è molto diversa una dall’altra, ma le differenze, per quanto grandi, non avranno un’influenza determinante per il terapeuta che diventerai. 

  • La laurea in Psicologia ti fornisce maggiori strumenti per capire i meccanismi sottostanti alle varie tecniche terapeutiche.
  • La laurea in Medicina ti dà più strumenti per capire i meccanismi neurofisiologici in gioco in molte psicopatologie e l’effetto di farmaci e sostanze psicotrope sul sistema nervoso e sulle condizioni fisiche generali.

L’esame di stato e l’iscrizione all’albo degli psicologi o medici è uno step indispensabile per l’esercizio della professione psicoterapeutica e per poterti iscrivere alla EIST, come alle altre scuole di psicoterapia. 

Puoi però pre-iscriverti anche se non hai ancora ottenuto l’abilitazione. Appena iscritto all’Ordine degli Psicologi o dei Medici potrai formalizzare l’iscrizione. 

L’abilitazione è quindi uno step indispensabile. Senza di esso non potrai proseguire il tuo percorso per diventare un futuro specialista della psicoterapia!

3. Scuola quadriennale di specializzazione in psicoterapia

Laurea magistrale e esame di stato sono dei prerequisiti per poter accedere alla professione di psicoterapeuta ed iscriverti alla scuola di psicoterapia. Solo quando avrai ottenuto il diploma di specializzazione della EIST o di altra scuola riconosciuta dal MIUR potrai iscriverti all’Albo degli psicoterapeuti.

Al di là degli aspetti legali, chi ti forma per diventare terapeuta è la scuola di psicoterapia

Scegliere la scuola di psicoterapia è, quindi, cruciale. Devi farla con la massima attenzione.

Ti consigliamo di leggere il seguente articolo che ti guida nel fare la scelta giusta e nel quale ti diamo dei consigli per orientarti e prendere questa decisione così fondamentale per la tua carriera professionale da psicoterapeuta:

Come scegliere la scuola di psicoterapia?

Come diventare uno psicoterapeuta competente e preparato: 4 consigli da seguire

Come diventare un ottimo psicoterapeuta?

Un’eccellente terapeuta sistemico relazionale è diverso da un’eccellente terapeuta cognitivo comportamentale o psicodinamico.

Ti diamo qui qualche consiglio che potrebbe esserti d’aiuto qualunque sia il modello e la scuola di psicoterapia che sceglierai.

1. Ascolta e prendi spunto dai tuoi pazienti (sono più competenti di te)

psicoterapeuta come diventare

Ascolta i tuoi pazienti con estrema attenzione, soffermati su ogni loro affermazione, osservazione, pensiero o domanda. Osserva come dicono quello che dicono. I loro comportamenti, il tono della loro voce, le emozioni che esprimono, la loro prossemica, il modo con cui occupano lo spazio, l’atteggiamento che assumono sono essenziali per comprendere i loro problemi. 

Tu conosci un modello e le sue strategie e tecniche, ma sono loro, i pazienti, ad essere competenti di se stessi, delle loro emozioni e dei contesti dentro ai quali vivono e si sono formati. 

La terapia nasce proprio dall’interazione fra una doppia competenza: quella che tu acquisirai grazie al tuo modello, e quella loro, che nasce dalla loro storia individuale e familiare, da come l’hanno vissuta, dalle percezioni e dai pensieri che ha generato e delle modalità relazionali che esprimono.

2. Sii curioso

Sii curioso della vita dei tuoi pazienti

Non stancarti di far loro domande. Entra nei loro interessi, anche quelli apparentemente lontani dai loro sintomi. Informati sulle loro abitudini. Analizza la loro vita quotidiana, non soltanto quella intima. Il sesso è importante ma il denaro non lo è di meno. Leggi i loro scritti o qualunque altra produzione. Se sono bambini guarda i loro quaderni e i loro disegni. 

Un terapeuta eccellente conosce a fondo la vita dei propri pazienti. Da aspetti apparentemente estranei al problema per cui si sono rivolti a te possono scaturire stimoli cruciali per il processo terapeutico.

3. Diventa artefice del tuo progetto formativo

Prendi nelle tue mani il tuo progetto formativo, non lasciarti guidare passivamente dai tuoi maestri.

Si può essere liceali o studenti universitari eccellenti seguendo le indicazioni dei propri docenti e adeguandosi alle loro aspettative. Non è così per uno psicoterapeuta. 

La professione psicoterapeutica richiede discrezionalità e intraprendenza

Sono molte le scelte che un terapeuta deve fare in presenza di più alternative possibili. La capacità di problem solving è una componente essenziale della professione psicoterapeutica così come la prontezza nell’ideare risposte creative a scenari imprevisti, abbandonando schemi precostituiti.

Devi quindi diventare protagonista della tua formazione, definendo e monitorando i tuoi obiettivi formativi, approfondendo autonomamente aspetti della tua formazione che sembrano più congeniali a te o riguardano temi su cui vuoi specializzarti. Fai letture autonome, informati su concetti, strategie e tecniche di altri modelli con i quali puoi arricchire le tue competenze. Fai, oltre al tirocinio, esperienze che ti consentano di applicare quanto stai imparando.

4. Leggi i romanzi, i drammi, vai al cinema, ascolta la musica

Perché tanta attenzione alla letteratura, al cinema al teatro, alla musica? Questi interessi artistici hanno una qualche importanza per come diventare psicoterapeuta?

Sì, tanta e ti chiariamo il perché. A prescindere dal modello che sceglierai, dovrai applicare le conoscenze che acquisirai ad una situazione umana che deve essere capita in tutti i suoi aspetti.

L’empatia e l’esperienza ti saranno di aiuto ma tu, come tutti noi, disporrai di una gamma limitata di esperienze personali che ti potranno aiutare a capire le persone che si rivolgeranno a te.

Ciascuno di noi non può essere contemporaneamente eterosessuale e gay, uomo e donna, adolescente e anziano. Raccontandoci storie spesso lontane da noi, la letteratura, il teatro, il cinema, la musica, ampliamo le nostre conoscenze e la nostra sensibilità facendoci intuire e sentire realtà, emozioni, condizioni che non abbiamo vissuto.

Come diventare psioterapeuta grazie alla scuola di psicoterapia EIST

Fin qui ti abbiamo fornito una guida su come diventare uno psicoterapeuta, quali sono gli step da affrontare ed il percorso formativo da intraprendere, oltre che dei consigli utili per acquisire esperienza e specializzazione in questo mestiere.

Come abbiamo già accennato, però, sarà quello della scuola di psicoterapia lo step fondamentale che ti insegnerà come diventare psicoterapeuti ed il mestiere.

Perciò ti lasciamo un articolo, per approfondire le metodologie ed il percorso formativo della nostra scuola di psicoterapia. Leggilo, ne vale la pena! La EIST è un’eccellenza. Ha formato tanti psicoterpeuti, molti dei quali occupano posizioni di rilievo in Italia e all’estero.

Cliccando sul pulsante in basso trovi l’articolo:

R. Magritte, The lovers

Workshop with Valeria ugazio

Saturday, the 26th of October 2019, fram 9.30am to 5.30pm

Are betrayals really always dangerous for couples? Are there differences in the dynamics of betrayal between the two sexes even now ? Are some personality organizations more likely to betray? Do the motivations that lead to betrayal change in the different personality organizations? Can a betrayal be a positive event for some couples? But how can we transform a stressful, generally emotionally upsetting event, into a resource for a couple? Valeria Ugazio will answer these questions of central importance for couple survival, also through clinical cases and video-recorded sequences. Constructively overcoming betrayals is today of crucial importance for maintaining a long-lasting couple relationships. As a result, helping the couple achieve this goal becomes an inescapable therapeutic task.

Valeria Ugazio will answer these questions of central importance for couple survival, also through clinical cases and video-recorded sequences. Constructively overcoming betrayals is today of crucial importance for maintaining a long-lasting couple relationships. As a result, helping the couple achieve this goal becomes an inescapable therapeutic task.

Valeria Ugazio’s article on a new perspective for PSYCHOTHERAPY with ANOREXIA has just been published by the Psychotherapy Review of the British Psychological Society. You can download it!

Ugazio V. (2019). Anorexic girls and their families: how can we deal with their semantic and its dilemmas?

Psychotherapy Section Review,63, pp. 10- 23.

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