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Quando l’anoressia nervosa diventa cronica?

L'anoressia nervosa è un problema sempre più frequente che colpisce le giovani donne, ma an-che chi ha più di 40 anni. Scopri una nuova terapia e metodo di cura.

Nel 20% dei casi i sintomi di anoressia nervosa e bulimia persistono nel tempo e una prognosi precoce si fa analizzando il peso minimo raggiunto (BMI =< 15, le forme miste anoressia/bulimia o bulimarexia), uno scarso livello di funzionamento sociale premorboso, il fallimento o l’interruzione dei trattamenti intrapresi e l’appartenenza al sesso maschile.

Questi casi sono variamente denominati come forme di anoressie croniche, o gravi e di lunga durata. Anche il limite di tempo oltre il quale vadano considerate tali è controverso, variando dai 5 ai 10 anni.

Anoressia nervosa: cosa fare quando la famiglia non collabora?

Oggi alcuni centri di riferimento per i DCA hanno programmi integrati intensivi, spesso di tipo residenziale, specifici per queste pazienti, che spesso prevedono il coinvolgimento della famiglia, di tipo psicoterapeutico o psicoeducazionale. Tuttavia, la famiglia non sempre può o vuole accettare, proprio nelle forme croniche di anoressia nervosa che non raramente approdano ai centri residenziali dopo il fallimento di altre psicoterapie.

Negli anni ’80, Mara Selvini allestì insieme con me un programma specifico di terapia individuale per queste pazienti che soffrivano di anoressia nervosa, che io attuai con pazienti da lei inviati. Questa esperienza, oggi superata, ha rappresentato un punto di partenza per uno schema di terapia individuale sistemica applicabile, con opportuni adattamenti, a un’ampia gamma di disturbi.

Del metodo originario di trattamento rimane una traccia non del tutto dimenticata in due articoli pubblicati su Family Process da Mara Selvini e dal sottoscritto, negli anni ‘80. Se sei interessato a conoscere la storia di questa esperienza fino ai suoi sviluppi attuali, leggi questa pagina.

La storia che ha inizio nel 1980, quando Mara Selvini e Giuliana Prata, da poco separatesi da Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin, decisero di trattare solo famiglie e tutte le famiglie, senza eccezioni, secondo un metodo standard. Tale metodo, inizialmente presentato come ‘nuovo metodo’, successivamente ribattezzato ‘prescrizione invariabile’ era in gran parte basato su una serie di prescrizioni, uguali per tutti i casi. Anzi, tutta la terapia seguiva un piano prefissato fin dall’inizio. Dopo le sedute familiari congiunte, la terapia proseguiva con i soli genitori, ai quali veniva chiesto di eseguire una serie fissa di prescrizioni nell’intervallo tra le sedute. Era prevedibile e previsto che non tutte le famiglie fossero disponibili a intraprendere o a proseguire dopo le prime sedute.

La notorietà di Mara Selvini era però largamente basata sulle sue pubblicazioni sull’anoressia mentale, prima ancora che sulla sua attività come terapeuta sistemica e familiare. I colleghi indirizzavano quindi queste pazienti – molte delle quali con storie cliniche di anni – non tanto a un centro di terapia famigliare, quanto a un gruppo la cui leader era ritenuta un’autorità nel trattamento dell’anoressia. Questo invio rappresentava non raramente una sorta di ‘ultima spiaggia’ per queste pazienti.

Tra le persone che vi si rivolgevano, non mancavano quindi anoressiche croniche, che in molti casi presentavano forme miste di anoressia nervosa/bulimia da molti anni ormai. Queste pazienti avevano per lo più al loro attivo uno o più trattamenti psicoterapeutici falliti ed erano considerate avviate sulla via di una cronicità, da gestire in un’ottica di riduzione del danno, soprattutto sotto il profilo internistico. Alcune di loro si rivolgevano al centro autonomamente, proprio perché non accettavano tale definizione.

Storie di anoressia nervosa: testimonianze ed esperienze reali

Corinna, una simpatica ragazza toscana di 22 anni, anoressica dall’età di 15, si presentò da sola al Centro chiedendo una terapia per sé. Alla domanda sul perché si presentasse ad un centro per la terapia della famiglia chiedendo una psicoterapia individuale, rispose: ‘mi dà molta noia il fatto che in famiglia l’interesse per il mio caso sia scemato, soprattutto da quando i miei si son sentiti dire che tentare altre psicoterapie sarebbero stati soldi buttati’.  
La speranza di Corinna era di avere un parere autorevole da contrapporre al precedente, che inducesse i familiari a cambiare atteggiamento e magari a tentare la via della terapia familiare. Corinna non fu ricevuta da Mara Selvini, nemmeno per una consultazione: la professoressa accettava solo famiglie. Da questo e altri casi simili nacque l’idea di proporre una terapia individuale che adottasse lo stesso modello delle terapie familiari in sperimentazione.

Il ‘nuovo metodo’ di trattamento per anoressie nervose presupponeva che un sistema potesse essere modificato agendo tramite prescrizioni solo sul sottosistema dei genitori, senza la paziente, presente solo nelle due sedute di consultazione con tutta la famiglia. Si trattava di estendere questo principio e contemporaneamente in parte capovolgerlo: la terapia familiare si sarebbe potuta fare anche se il sottosistema fosse costituito dalla sola paziente. Da un punto di vista sistemico, se fosse cambiata la paziente, la famiglia non avrebbe potuto non modificarsi in qualche misura. La tecnica di conduzione di seduta e le prescrizioni furono ovviamente adattate al contesto individuale. Il metodo di lavoro sviluppato che presupponeva l’esperienza di terapia con la famiglia secondo il ‘nuovo metodo’.

Nel corso di due sedute di consultazione individuale con la paziente, il terapeuta chiariva i presupposti e i limiti di quanto egli poteva fare. In primo luogo, accettando la definizione di cronicità, non avrebbe focalizzato l’attenzione sul problema alimentare, di cui non ci si sarebbe occupati. Ciò che il terapeuta poteva fare, era mettere a disposizione della paziente la propria esperienza di lavoro con le famiglie, soprattutto nel lavoro con la sola coppia dei genitori.

           
 Molti genitori, sotto il vincolo stretto e non revocabile della riservatezza, erano spesso stati disposti a rivelare cose che mai avrebbero detto in presenza della figlia. Queste rivelazioni si erano rivelate illuminanti per i terapeuti, che avevano sempre lavorato in seduta familiare congiunta, presente la paziente. Sulla base di questa esperienza il terapeuta avrebbe potuto intuire aspetti della vita familiare che si sarebbero rivelate utili anche per la paziente. In ogni caso, doveva essere chiaro che il terapeuta rinunciava a tentativi per indurla a mangiare di più: se era ancora possibile che qualcuno modificasse il suo comportamento alimentare, era solo la stessa paziente.
           

In un arco di tempo di quasi 10 anni, 15 pazienti croniche accettarono questa proposta, e alcune di loro ne ebbero benefici duraturi, anche sotto il profilo della condotta alimentare. Tuttavia, il lascito forse più importante di questa esperienza è costituito dal fatto che rappresentò il punto di partenza per sviluppare un approccio sistemico alla terapia individuale. La rivista ‘Terapia Familiare’, in un numero speciale del 2013, incluse la prima presentazione del metodo tra gli articoli italiani più significativi pubblicati dalla rivista, sin dalla sua fondazione. Questo numero speciale fu poi pubblicato come volume dal titolo ‘Le parole dei maestri’.
 L’idea di adottare un modello familiare specifico per un tipo di disturbi come guida per il trattamento individuale venne poi estesa ad altri disturbi considerati nel contesto familiare, con opportuni adattamenti. Oggi, il modello delle polarità semantiche proposto da Valeria Ugazio fornisce una guida che consente di allargare l’intervento individuale alle principali casistiche non psicotiche e a diverse fasce d’età.

Si può soffrire di anoressia nervosa a 40 anni?

Tipicamente, l’età d’esordio dell’anoressia nervosa e di altre forme di anoressia è dopo i 12 ed entro i 20 anni o poco più, con un doppio picco di frequenza a 14 e 18 anni. Tuttavia, nel tempo si è registrato un aumento di casi a insorgenza più tardiva, fino ai 40 anni e oltre. Talvolta la sintomatologia conclamata si manifesta su uno sfondo di un disturbo alimentare preesistente in forma subclinica. Altre volte, insorge acutamente in seguito a una situazione traumatica

Testimonianze ed esperienze reali di anoressie

Mirella è un’insegnante di 45 anni che chiede una psicoterapia. In pochi mesi, ha perso 12 chili e presenta un quadro di anoressia restrittiva e deflessione dell’umore. Originaria del napoletano, descrive il padre come tipico ‘uomo del sud’. Separandosi dal marito, come vorrebbe fare per unirsi all’uomo con cui ha una relazione da anni e che ama, darebbe un grande dolore al padre. Per far cosa approvata da lui si era sposata e per non fare cosa che lui non potrebbe mai approvare non può lasciare il marito. Questo è il suo problema, come lo definisce al momento della richiesta.

Il padre di Mirella, stabilitosi in una cittadina della Lombardia qualche anno dopo il matrimonio per motivi di lavoro, è tuttora legatissimo al numeroso clan costituito dalla famiglia d’origine. Motivo di vanto, che spesso ripete è che ‘nessun matrimonio nella mia famiglia è mai finito con una separazione’.
 Mirella era la prima dei 3 figli, allevati nell’osservanza stretta di quelli che il padre riteneva principi quasi sacri: la religione, la famiglia e l’impegno sul lavoro. Nei confronti delle prime due figlie, femmine, esercitava un controllo strettissimo. Uscite, frequentazioni e spostamenti erano ammesse solo sotto sorveglianza.

Mirella, la prima non solo per ordine di nascita, aveva sin da bambina dedicato ogni suo sforzo per incarnare i principi paterni. La corona di figlia prediletta che s’era guadagnata in tal modo era tuttavia pesante: uscì da sola per la prima volta soltanto dopo il matrimonio, a 19 anni. Conseguito il diploma magistrale, si era infatti subito sposata con Mario, fidanzato con lei dai 14 anni, figlio di amici di famiglia nonché unico amico d’infanzia di sesso maschile.

Entrata come insegnante nella scuola, Mirella divenne presto un punto di riferimento anche nel plesso dove lavorava. Oltre alle ore d’insegnamento, si impegnava in molti progetti affiancando poi la dirigente scolastica in qualità di vicepreside. In parrocchia era attiva con il marito, con il quale formava una specie di coppia esemplare, soprattutto nelle attività con i bambini. Si iscrisse all’università per conseguire la laurea, progettando di tentare il concorso per dirigente scolastica.

Nel tempo libero, coltivò la propria passione per il canto iscrivendosi a un coro, dove divenne voce solista. Grazie a queste molteplici attività, era finalmente libera di stare fuori casa tutto il giorno, rincasando la sera, poco prima del marito.

Mario, dal canto suo, di tanto in tanto si lamentava del poco tempo che la moglie dedicava alla vita di coppia ma, innamoratissimo, non ne faceva una questione per cui valesse la pena litigare. Alle pur flebili lamentele del marito, Mirella reagiva con estrema fermezza. Per lei era fondamentale non fare le cose al massimo dell’impegno e tutto ciò cui si dedicava aveva scopi nobili: non accettava quindi limitazioni. Per Mirella, il minimo cedimento su questo punto sarebbe stato fare il primo passo verso la condizione di amorevole prigionia in cui era cresciuta e da cui si era liberata. D’altro canto, voleva sinceramente bene al marito, di cui si prendeva cura e coccolava teneramente come un amato fratello. L’ amore era fraterno anche nei rapporti intimi, infrequenti e frettolosi. Non avevano figli né fatto molto per averne o per capire perché non venissero.

 Non passarono molti anni prima che Mirella cedesse alla corte di Mauro, un collega più anziano di quasi quindici anni. Come lei sposato, a differenza di lei, Mauro aveva due figli. La loro relazione, fatta di fugaci incontri rubati, attraversò i decenni senza che Mario né altri sospettassero di nulla. Mirella però si sentiva libera e felice, per nulla in colpa: aveva da sempre fatto tutto per gli altri e le poche ore che passava con Mauro erano la sola cosa che faceva per se stessa. Riusciva infatti a compiacere gli uomini importanti della sua vita, limitando le pretese dell’uno (Mario) in nome dei diritti dell’altro (il padre) o di principi superiori come la dedizione al lavoro o la fede.

Questa complessa costruzione inaspettatamente crollò. La moglie di Mauro morì dopo una breve malattia, i suoi due figli ormai grandi uscirono di casa. Mauro, in previsione della pensione, chiese prima e pretese poi che Mirella decidesse di separarsi da Mario. Non avevano figli, e Mauro non voleva né sapeva vivere da solo. Se Mirella non avesse lasciato il marito, sarebbe stato costretto suo malgrado a cercare un’altra compagna.

Incalzata da tali insistenze, Mirella crollò: depressa e preda di crisi di pianto anche in pubblico, non riusciva più a mangiare. In pochi mesi, perse ben 12 chili e chiese una terapia. Le amiche al corrente della sua situazione l’incitavano a coronare il suo sogno d’amore con Mauro. Mirella, tuttavia, non sapeva o non poteva decidersi a un simile passo, che avrebbe significato distruggere l’immagine che con tanta fatica aveva costruito agli occhi di tutti. Inoltre, vivere con Mauro significava rischiare di cadere di nuovo prigioniera del rapporto e del potere di un solo uomo.

Applicando il modello interpretativo delle polarità semantiche, la vicenda di Mirella può essere letta utilizzando due dimensioni di significato prevalenti, strettamente intrecciate: libertà e potere. Le relazioni con gli uomini venivano sentite da lei come sottomissione al potere maschile e intollerabile limitazione della sua libertà. Per la maggior parte della vita, era riuscita a trovare un modo di vivere che le consentiva di primeggiare accontentando in questo modo il padre e compiacere le aspettati in apparenza, in realtà sfuggendo al loro controllo.
I sintomi alimentari, già transitoriamente frequentati in adolescenza, rendevano palese il suo stato di sofferenza, e vennero riscoperti ora in età adulta. Il problema terapeutico si poneva nei termini di aiutare Mirella a trovare una via d’uscita che le consentisse da un lato di mantenere i rapporti per lei fondamentali senza pagare il prezzo della sottomissione a un uomo – incluso il terapeuta – e di una rinuncia alla propria libertà. Le prescrizioni da mettere in atto con i diversi attori della vicenda ebbero un ruolo fondamentale nell’aiutarla a percorrere questa via, contrastando una situazione di anoressia nervosa di lunga data.

Questo esempio mostra che un modello familiare può servire come guida interpretativa in un trattamento individuale. Inoltre, illustra il caso, oggi non infrequente, di una sintomatologia anoressica che insorge (o si ripresenta) dopo i 40 anni.

Anoressia Modigliani

L’anoressia è un disturbo alimentare che interessa tipicamente il sesso femminile dopo la pubertà, con due picchi a 15 e 18 anni.  

Se ancora non l’avessi fatto, ti consigliamo di leggere l’articolo sui disturbi alimentari per avere un’infarinatura sull’argomento.  

Per quelli come te, invece, che vogliono sapere di più cominciano dal nome anoressia.

Che cos’è l’anoressia? (significato e definizione)

Anoressia  significa “mancanza di appetito” (dal greco: il prefisso privativo ἀ- precede il lemma ὄρεξις, appetito). 

Ma la mancanza di appetito è precisamente ciò che non caratterizza l’anoressia.

L’anoressica, infatti, rifiuta il cibo perché non vuole, e in un certo senso non può, alimentarsi. Certamente non perché non avverta lo stimolo della fame. Ciò che spinge chi soffre di anoressia non solo a digiunare, o quasi, ma anche a praticare un’attività fisica eccessiva rispetto alle calorie che ingerisce è la paura di ingrassare

Come ha affermato Selvini Palazzoli, già nel lontano 1963, quando l’anoressia era ancora assai poco frequente: 

“A differenza che in altre malattie mentali (…) nell’anoressia il cibo in sé permane come cosa amabile, desiderabile, interessante, importante, continuamente presente allo spirito. Esso non è mai ‘veleno in sé’(…). E’ l’atto del cibarsi che è diventato pericoloso e angoscioso, l’atto del nutrirsi. Nessuna azione, neppure un delitto, assume per l’anoressica un significato di auto-degradazione e sconfitta quanto il satollarsi. Questo è divenuto sinonimo di degradazione e caduta”

Luca Mazzucchelli (ex studente EIST) intervista la nostra direttrice Valeria Ugazio, esperta di disturbi alimentari e sostenitrice della terapia sistemico-relazionale per la loro cura

L’esordio dell’anoressia: quali sono i sintomi?

L’esordio dell’anoressia può essere vario. Da una dieta iniziata per perdere qualche chilo viene eliminato gradualmente un alimento dopo l’altro. Le sollecitazioni dei genitori perché la ragazza riprenda un’alimentazione ragionevole cadono nel vuoto: c’è sempre un ultimo chilo da perdere ancora. Possono passare dei mesi prima che il peso della ragazza scenda sotto una soglia di allarme.

1. Anoressia e sintomi fisici

Spesso è l’insorgenza dell’amenorrea a rendere inequivocabile il fatto che la perdita di peso ha superato il limite. 

All’opposto, l’anoressia può iniziare improvvisamente come una specie di sciopero della fame (e qualche volta perfino della sete) con un declino rapido sul piano fisico. Oppure l’aumento dell’attività fisica è più evidente della restrizione alimentare. E’ quanto accade specialmente nelle ragazze che praticano uno sport agonistico che impone rigide norme dietetiche o dove le performances sono favorite da un fisico di tipo infantile (come la ginnastica artistica).

Tuttavia familiari ed amici a un certo punto si rendono conto che l’attività fisica è diventata invasiva: sembra essere l’unico interesse della ragazza, o quasi.

2. Anoressia e sintomi psicologici

L’umore all’inizio non risente della restrizione alimentare: anzi, spesso, più la ragazza perde peso, più dichiara di sentirsi bene. 

Tuttavia, l’interesse per le relazioni sociali diminuisce o si estingue del tutto. Questo perché la socialità è spesso connessa alla convivialità. Quindi, la ragazza sfugge a tutte le occasioni che possono indurla a mangiare.  Il focus attorno a cui ruota l’attività mentale della ragazza è il controllo del cibo, tutto il resto diventa secondario.

Anoressia: quali sono le cause?

Meno facile è soddisfare la tua curiosità sulle cause dell’anoressia.

1. L’anoressia nel mondo della moda (l’esempio negativo delle modelle)

L’ideale estetico della magrezza, incarnato dalle soventi meno eteree che scheletriche indossatrici è stato messo sul banco degli imputati. 

È certamente vero che il modello ideale di bellezza privilegia oggi la magrezza e che l’adolescente è particolarmente sensibile e ansiosa rispetto alle trasformazioni del proprio corpo, ma sarebbe riduttivo sovrastimare questo aspetto. 

L’anoressica non è una ragazza frivola che pensa solo alla linea e all’aspetto esteriore (che certamente il digiuno estremo non migliora).

2. Cause biologiche, psicologiche e sociali

La tendenza attuale della psichiatria propende per una etiologia multifattoriale, bio-psico-sociale, in cui non viene assegnata una priorità ad una componente rispetto alle altre.

La posizione della maggioranza degli psicoterapeuti e della EIST è di riconoscere alla componente psicologica un ruolo etiologico predominante. 

Per noi l’anoressia è un problema psicologico.

Anoressia | Distrubi Alimentari Psicogeni | DAP | Mara Selvini Palazzoli
Mara Selvini Palazzoli, pioniere dello studio e della terapia sull’anoressia e sui DAP

Inoltre, come Hilde Bruch, Mara Selvini Palazzoli, Salvator Minuchin – i pionieri dello studio e della terapia dell’anoressia – e gli altri psicoterapeuti che più hanno contribuito a farci capire questo disturbo e come curarlo, la EIST considera l’anoressia e le altre forme di disturbo alimentare collegate come parte di una stessa famiglia di disturbi: i Disturbi Alimentari Psicogeni (DAP). 

Sebbene anoressia e obesità, ad esempio, siano opposte, hanno molto in comune come suggerisce la frequente compresenza nella stessa famiglia di entrambi i disturbi.

Anoressia nervosa o mentale (definizione, cause psicologiche e sintomi)

Proprio per l’origine psicologica dell’anoressia, essa viene spesso definita nervosa o mentale.

Rispondere alla domanda sulle cause dell’anoressia equivale allora a cercare di individuare i perché del digiuno.

1. L’anoressia e le pratiche ascetiche

Le prime descrizioni dell’anoressia come entità morbosa risalgono alla fine del XIX secolo.

Tuttavia, c’è chi ha notato che l’anoressia risale al medioevo. Alcune sante del medioevo, se considerate dal punto di vista psichiatrico d’oggi, soddisfano pienamente i criteri diagnostici per l’anoressia. 

Nel medioevo cristiano il digiuno faceva parte di pratiche ascetiche volte a elevare lo spirito liberandolo dalla prigione del corpo e dai desideri della carne. Il digiuno o regole dietetiche restrittive sono parte di tutte le pratiche ascetiche, presso culture anche molto diverse tra loro. 

Ciò che differenzia le “sante anoressiche” del medioevo dalle malate di anoressia sono i motivi alla base del digiuno oltre al modo in cui il contesto culturale considera questa condizione.

Anche se non si può dire certo che le anoressiche digiunino per questo motivo, certamente il desiderio di elevarsi intellettualmente e spiritualmente non è loro estraneo.  

Come probabilmente saprai, il rendimento scolastico delle anoressiche è di solito ben al di sopra della norma e, prima dell’insorgenza dei sintomi alimentari, incarnavano spesso un certo modello di figlia ideale.

2. L’anoressia e il ruolo delle relazioni familiari e interpersonali

Un altro tipo di digiuno ben noto è il digiuno per protesta

Protesta tipicamente non violenta, che getta il biasimo su qualcuno, sottolineando la propria superiorità morale.

I digiuni di Gandhi avevano un potente effetto proprio perché il destinatario – l’Impero britannico – si proponeva e giustificava il proprio dominio in quanto portatore di civiltà, come i lettori di Kipling sanno.

Protesta e accuse non dichiarate sono presenti anche nell’anoressia. Per molto tempo la principale, se non la sola imputata di questa tacita accusa, anche da parte degli psicoterapeuti, è stata individuata nella madre dell’anoressica.

Molti Autori hanno sottolineato  la presenza fra madre e figlia di  una sorda lotta dove il controllo delle calorie è il terreno dove si combatte una battaglia che ha altre motivazioni, mai dichiarate.

Per la verità il padre, e di regola fratelli e sorelle, sono oggetto di analoghe battaglie, dove la volontà di vincere la battaglia contro la fame diventa tutt’uno con la volontà di vincere la battaglia prima di tutto contro di loro.

Se ogni benevola sollecitazione dei familiari affinché la figlia si nutra in modo più ragionevole è inutile, non lo è di meno far presente ai familiari che le loro assillanti ed esagerate pressioni perché la figlia mangi un boccone in più sono inutili e controproducenti.

In questa lotta, ogni sotterfugio è lecito da una parte per inserire di nascosto nei cibi della ragazza qualche caloria in più e dall’altra per sventare l’inganno o smaltire con ginnastica supplementare, o altri mezzi, quello che è forzata a ingerire o sospetta di esserlo stata.

Anoressia: confronto competitivo e ipercriticismo nelle relazioni familiari

L’ambizione di primeggiare, così evidente in chi soffre di anoressia, non nasce dal nulla. Il confronto competitivo con gli altri e l’ipercriticismo sono spesso un valore e un atteggiamento condivisi in famiglia come messo in evidenza soprattutto  da Selvini Palazzoli (1963, 1981) e Ugazio (1998,2012,2018) .Spesso sono proprio entrambi i genitori o uno di loro a portare avanti con i fatti e con le parole l’importanza della competizione per il successo e l’immagine sociale. La competizione non è esercitata soltanto all’esterno della famiglia, ma anche all’interno.

“La lotta per la definizione della relazione – afferma Ugazio (1998) – è argomento costante della conversazione delle famiglie dove si sviluppa l’anoressia. L’oggetto del contendere, i «contenuti» del conflitto sono di regola irrilevanti, mentre chi abbia la supremazia (one- upmanship) è ciò che conta”  E ancora  “il confronto, con i criteri di riuscita e i conflitti competitivi che ne conseguono, guida nelle famiglie in cui si sviluppa l’anoressia sia le relazioni interne al nucleo, sia quelle con la parentela”. 

Molto spesso, più o meno copertamente, uno dei genitori considera l’altro inferiore intellettualmente e/o socialmente.  Questioni di superiorità o inferiorità riguardano tutte le differenze fra i coniugi e fra i membri della famiglia.

Per questo tutte le differenze sono bramate ma anche temute:  

“Poiché ogni definizione di sé è connotata in termini di più e di meno e dà luogo a una superiorità o a un’inferiorità rispetto agli altri, le differenze sono immediatamente colte, ma temute, negate, osteggiate, spesso ritenute illegittime. Le differenze non sono infatti al servizio della cooperazione. Al contrario, servono all’affermazione della propria superiorità di contro agli altri membri del nucleo, alla prevaricazione, o sono un indizio del proprio scacco, della propria disfatta. Per questo in queste famiglie la differenziazione individuale è ostacolata” (Ugazio 1998) 

La figlia anoressica è tipicamente superiore ai fratelli e sorelle in tutte le prestazioni, in particolare scolastiche. Anche l’attenzione alla dieta, al peso e in generale all’alimentazione ha spesso un ruolo importante in famiglia e precede l’insorgenza dell’anoressia nella paziente. 

Non sono rare le famiglie che gestiscono ristoranti, pasticcerie o rivendite di generi alimentari, oppure in cui vi è una tendenza al sovrappeso nel padre o sorella e madre sono in perenne lotta con le diete per mantenere la linea.

Perché l’anoressia si sviluppa di solito nell’adolescenza?

Anche il fatto che l’anoressia tipica insorga dopo la pubertà non avviene a caso. La tendenza a competere della futura anoressica, acquisita in una famiglia dove i confronti competitivi sono sempre presenti, fintanto che è una bambina sarà circoscritta ai fratelli e ai coetanei. Non gli mancheranno conferme e apprezzamenti da parte del genitore preferito e degli altri adulti del proprio gruppo familiare: un bambino, per quanto attraente e brillante, difficilmente viene percepito come minacciante dagli adulti. 

Con l’adolescenza in queste famiglie dove prevale quella che Ugazio (1998; 2012,2018) definisce la “semantica del potere” un equilibrio si rompe. Le future anoressiche crescendo si trovano, quasi inevitabilmente a competere con i genitori e con gli altri adulti della famiglia, semplicemente perché competere è una loro modalità caratteristica di interagire. 

Il confronto può riguardare la bellezza, l’eleganza, l’intelligenza, le capacità sportive.Poco conta quale sia il terreno su cui misurarsi, quel che  importa è chi ha la meglio. Per la verità non sono solo le future anoressiche ad essere competitive verso fratelli e sorelle e verso i genitori. Con il sopraggiungere dell’adolescenza, anche i genitori si sentono minacciati dai figli. 

Si tratta di genitori che generalmente si propongono ai figli come modelli. Spesso frustrati da un partner poco gratificante e da genitori avari di conferme trovano gratificazioni  nella rilevanza e nelle gratificazioni che i figli attribuiscono loro.

Soffrono, quindi, quando si accorgono dell’importanza che ora assumono per i loro figli insegnanti, allenatori sportivi, genitori di loro fidanzati o amici. Si risentono e spesso si offendono quando l’adolescente si entusiasma per idee, forme di comportamento, svaghi, letture, interessi  diversi dai loro che la ragazza apprende attraverso  frequentazioni autonome. Tutti questi comportamenti deludono, come ha messo in evidenza Guidano (1987) la futura anoressica e contribuiscono all’esordio dell’anoressia.

Storie di anoressia: testimonianze ed esperienze reali

Due brevi cenni a due casi di anoressia ti aiuteranno a farti un’idea delle dinamiche di queste famiglie.

1. Il caso di Sabina, una diciassettenne anoressica tra carnivori e vegetariani

Bracci di ferro, teste che devono chinarsi, conflitti e confronti competitivi occupano la scena non appena entriamo in contatto con la famiglia di Sabina, una diciassettenne anoressica, figlia unica di genitori che più diversi non potrebbero essere.

Il padre è un bell’uomo, robusto, che lavora nell’azienda agricola familiare, carnivoro come tutti i suoi fratelli con cui si trovano spesso per pranzi in cui non mancano mai costate, prosciutti e cotechini.

La madre, una forbita avvocatessa, è vegetariana e così minuta e magra, da sembrare incorporea . 

“E’ da  tre anni che volevo telefonarvi, perché ho capito subito che si trattava di anoressia” –  afferma la madre nella telefonata che precede il primo incontro – “ma ho aspettato che Sabina abbassasse la testa e riconoscesse di avere un problema , altrimenti che senso ha fare una terapia?”.  

Stiamo ancora raccogliendo le informazioni durante la prima seduta quando Sabina scoppia a piangere. 

La ragazza si lamenta: a differenza di sua cugina, non è intelligente. Ottiene bei voti perché si ammazza dallo studiare e finirà come sua zia, a cui vuole un grande bene – è la sua seconda madre – ma è una semplice impiegata comunale, a differenza di sua madre che è intelligente ed ha una professione prestigiosa. 

Ma perché mai tanta disperazione visto che Sabina ha risultati scolastici brillanti?

Per il papà queste sofferenze sono la conseguenza della brutta abitudine di sua moglie – non menziona la colpevole, ma lo sguardo non lascia dubbi – di fare confronti.  

Per la madre, invece, il problema è che la figlia non si sente alla sua altezza. Sabina soffre, secondo lei, perché non è naturalmente portata allo studio come invece lei è sempre stata. Sabina deve fare inoltre strenue battaglie con il cibo perché non è biologicamente magra come lei, che da quando è nata non ha mai mostrato interesse per il cibo.

In questa famiglia la madre è in posizione vincente, mentre il padre è in posizione di inferiorità.

2. Il caso di Gioia, una ragazzina anoressica di 15 anni con  genitori  che lottano strenuamente per collocarsi tra i “vincenti”

In altre famiglie prevalgono configurazioni diverse dove i vincenti non sono né madre, né padre ma si trovano nella famiglia estesa del padre.

Il padre di Gioia, una ragazzina di 15 anni, è primario medico in un ospedale di una cittadina di provincia. Da sempre in competizione con i due fratelli, è tuttavia il meno affermato nella professione che li accomuna. Nella visione del clan familiare, chi pratica la medicina occupa il vertice della specie umana. 

La moglie conserva tracce di una bellezza che la mitologia familiare ritiene leggendaria. Di estrazione sociale inferiore al marito, pur lavorando e mettendo al mondo tre figli, è riuscita, grazie alla sua determinazione, persino a laurearsi in età matura per essere all’altezza del marito e del clan di quest’ultimo. Ma questo non le è servito a guadagnare né la stima della famiglia del marito né la fedeltà di quest’ultimo.

In famiglia tutti sanno – anche se tutti fingono di non sapere – che il padre tradisce regolarmente la moglie, forse per ristabilire una superiorità minacciata proprio dai tentativi di ascesa culturale della donna.  

Gioia è l’ultima nata dei tre. Quando era piccola e la primogenita Serena era già quasi adolescente, la madre era impegnata per il conseguimento della sua laurea che purtroppo non le ha permesso di guadagnare una posizione superiore in famiglia. 

Serena è stata la persona che l’ha sostituita in gran parte nell’accudimento di Gioia. L’anoressia insorge quando la sorella maggiore, che era sempre stata abbastanza generosa di conferme verso Gioia e che vantava successi accademici degni degli zii, si prepara a trasferirsi a Milano per una specializzazione e per convivere con il fidanzato. Gioia si trova a tu per tu con una madre e un padre, di certo non particolarmente apprezzati perché visti con gli occhi della sorella e tanto più competitivi perché frustrati.   

Non devi pensare ovviamente che tutte le ragazze anoressiche e le loro famiglie siano come quella di Sabina o di Gioia. Le varianti sono nella realtà clinica più numerose dei casi tipici e in progressivo, continuo aumento. Descrivere casi esemplificativi prototipici ha però il vantaggio di proporre un quadro ideale che, pur ammettendo innumerevoli varianti, offre un quadro unitario non tanto dal punto di vista descrittivo quanto del significato dei sintomi e delle ragioni coinvolte nella loro genesi.

Anoressia: alcuni libri che ti consigliamo di leggere

Se vuoi sapere qualcosa di più sulla dinamica familiare connessa allo sviluppo dell’anoressia ti consigliamo di leggere:

Mara Selvini Palazzoli: L’anoressia Mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare. Milano: Cortina, 2006

1. Mara Selvini Palazzoli: L’anoressia Mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare. Milano: Cortina, 2006

La prima edizione del libro, pubblicata da Feltrinelli, è del 1963. La seconda edizione, del 1981, rivista, contiene il passaggio di Mara Selvini Palazzoli da un approccio psicoanalitico a quello sistemico e i risultati di una ricerca pionieristica su 12 famiglie con una figlia anoressica i cui risultati individuano caratteristiche di queste famiglie a tutt’oggi condivisibili. Ti consigliamo di leggere, soprattutto, la quarta parte che testimonia il passaggio alla terapia familiare, ma non  dimenticare la seconda parte che, sebbene formulata entro un paradigma psicoanalitico lo supera per molti aspetti ed è del massimo interesse.

Salvator Minuchin,  Bernice L. Rosman & Lester Baker (1978 edizione originale) Le famigie psicosomatiche, Astrolabio 1980

2. Salvator Minuchin,  Bernice L. Rosman & Lester Baker (1978 edizione originale) Le famigie psicosomatiche, Astrolabio 1980

Il testo è un po’ datato, ma il terzo capitolo vale la pena di leggerlo, te lo consigliamo, così come alcuni altri capitoli sulla terapia, ma di questo parleremo in un altro articolo.

Eist: centro specializzato per la cura dell’anoressia a Milano

La psicoterapia sistemico relazionale può giocare un ruolo fondamentale nel superare conflitti e  competizioni in ambito familiare e interpersonale che sono alla base dell’esordio dell’anoressia.

La EIST dalla sua fondazione non solo fa psicoterapia con le persone con anoressia ma svolge attività di ricerca su questo disturbo. 

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