La Bulimia Nervosa è un disturbo del comportamento alimentare caratteristico dei paesi occidentali. In Italia, la sua prevalenza è, secondo un’indagine condotta dall’Università di Padova (Favaro, Ferraro & Santonastaso, 2003) , del 4,6%, molto più dell’anoressia che è stimata nell’ordine del 2%.
Cos’è la bulimia? (significato e definizione)
La bulimia è caratterizzata da abbuffate periodiche cui seguono vomito e/o comportamenti cosiddetti di eliminazione tesi a evitare aumenti di peso, come sedute intensive di ginnastica, uso di lassativi e diuretici.
Ma immagino che tu non ti accontenti di definizioni che puoi trovare da molte parti.
Approfondiremo quindi l’argomento analizzando insieme le differenze fra bulimia e altri disturbi alimentari.
La differenza tra bulimia, anoressia e gli altri disturbi alimentari
La parola bulimia significa «fame da bue«. Il suo significato è quindi opposto a quello di anoressia che vuol dire «mancanza di fame«. Ma le parole a volte ingannano e non corrispondono propriamente ai fatti.
Una ragazza anoressica, come abbiamo già avuto modo di approfondire in una articolo sull’anoressia dedicato, è lungi dal non sentire la fame. Piuttosto, è impegnata in una lotta incessante contro il desiderio di mangiare, che nega a parole, in preda al terrore di ingrassare.
Ciò che accomuna bulimia e anoressia è il timore delle pazienti che, iniziando a mangiare, non sarebbero capaci di fermarsi più. L’anoressica vince questa battaglia contro la fame, la bulimica la perde e così inizia a mangiare e non si ferma più. Questa è, in estrema sintesi, la differenza forse maggiore, certamente non l’unica, tra anoressia restrittiva e bulimia.
Anoressia e bulimia debbono essere considerate come gli estremi di un continuum che ammette numerose varianti e forme intermedie, più che come due categorie distinte. La facilità con cui una condizione può subentrare all’altra ne è la dimostrazione. Accade, infatti, frequentemente che l’anoressia restrittiva si trasformi in bulimia. Una percentuale davvero piccola di casi ha un viraggio dalla bulimia all’anoressia.
A volte questo passaggio avviene passando per una fase intermedia, detta anoressia con condotte di eliminazione. In questi casi, sono soddisfatti i criteri dell’anoressia nervosa ma la riduzione dell’apporto alimentare è incostante e si associa al vomito come ulteriore mezzo di controllo sul peso.
In altri altri casi, la bulimia non si accompagna al vomito autoindotto ma all’obesità, che alle periodiche abbuffate consegue inevitabilmente. Nella terminologia psichiatrica si parla allora di disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating Disorder).
Talvolta, l’ingestione di alimenti in eccesso avviene nelle ore notturne, dopo la cena. La tendenza attuale alla proliferazione delle distinzioni nosografiche ne ha fatto una categoria a se stante – la cosiddetta Night Eating Syndrome . Si tratta di una distinzione ulteriore rifiutata da molti addetti ai lavori. Anche noi non sentiamo proprio l’esigenza di questa ulteriore sindrome.
Ciò che accomuna queste diverse condizioni è la connessione sul piano psicologico tra alimentazione, aspetto esteriore e stima di sé.
Ciò che differenzia i diversi quadri clinici e sintomatologici è il modo in cui questa tematica viene gestita dal soggetto e dal suo ambiente.
L’anoressia restrittiva è associata ad una lotta vittoriosa contro il corpo e le sue esigenze, e non stupisce che l’erotismo e la sessualità non abbiano grande parte nella vita di queste pazienti.
L’opposto vale per le ragazze bulimiche, che sono di solito sessualmente attive e non raramente hanno subito molestie o abusi sessuali in età precoce. Non ti stupirai che anche la sessualità, come l’alimentarsi, sia spesso vissuta come una svalutazione di sé.
Bulimia: quali sono i sintomi?
Non devi pensare che chi ha una «fame da bue» sia semplicemente una persona che divora abitualmente grandi quantità di cibo. Le «abbuffate» periodiche che, pur con molte varianti caratterizzano questa condizione, richiedono una sorta di ritualizzazione.
L’abbuffata è solitamente preceduta da una fase di preparazione e pianificazione, che inizia con la scelta e acquisto di certi tipi di cibo, in grandi quantità. Non meno importanti sono l’individuazione o la disponibilità di un luogo e momento adatti. La solitudine è condizione pressoché necessaria. La ragazza bulimica, infatti, prova vergogna per il suo disturbo e fa il possibile per nasconderlo.
Una volta iniziato a mangiare, l’impossibilità di fermarsi è contrastata solo dall’impossibilità di ingerire altro cibo. Il vomito che segue costituisce l’epilogo di questa specie di rito. Gli effetti sul piano psicologico sono sentimenti di colpa, umiliazione e disgusto verso se stessa.
Anche se in modo meno costante, nei giorni successivi all’abbuffata subentra un periodo di restrizione alimentare più o meno severa (o altre cosiddette «condotte di eliminazione» diverse dal vomito, come ad esempio sedute di ginnastica intensiva in palestra, uso di lassativi o diuretici), che crea le condizioni per la successiva abbuffata.
Nei casi in cui la frequenza degli episodi bulimici non è eccessiva, spesso il peso si mantiene nella norma e l’aspetto esteriore non ne risente. Bulimiche a peso ideale o normale sono tutt’altro che infrequenti.
Si può parlare di Bulimia senza attacchi di vomito?
Sì, in alcune forme di bulimia le «abbuffate» sono seguite da altri comportamenti tesi ad evitare l’aumento di peso come ad esempio programmi intensivi di ginnastica
Ortensia, una giovane donna di 32 anni passava ormai da cinque anni dalla taglia 44 alla 38 senza mai vomitare. Alternava periodi di abbuffate ad altri in cui dedicava dalle cinque alle otto ore a ginnastica, corsa, nuoto e tennis. A causa di queste attività tese ad eliminare i danni delle abbuffate, aveva abbandonato il proprio lavoro e si limitava a svolgere qualche incombenza segretariale per lo studio professionale del padre. Quando raggiungeva la taglia trentotto si sentiva molto soddisfatta di sé e diventava sessualmente attiva seducendo uomini che poi eliminava in modo drastico dalla propria vita. Queste rotture non erano dovute a comportamenti inappropriati o indesiderati messi in atto dagli amanti ma erano stati pianificati da Ortensia preventivamente. Quando raggiungeva la taglia 42 o peggio 44 si sentiva in forte disagio e non frequentava più nessuno, né amanti né amici. Anche in palestra, sui campi da tennis e nelle altre attività sportive evitava quanto più possibile contatti social finché raggiungeva almeno la taglia 40.
Il disturbo di Ortensia viene anche denominato «sindrome yo yo«. Ritroviamo comunque il ricorso compulsivo alla ginnastica e ad altre attività sportive, spesso accompagnato da uso di lassativi, dopo abbuffate , anche in molte bulimiche che mantengono costantemente un peso ideale o normale.
Bulimia: quali sono le cause?
Meno facile è risponderti se domandi quali sono i fattori causali della bulimia.
Le caratteristiche di questo disturbo rimandano alla cultura.
L’immagine esteriore di sé – come io penso che gli altri mi giudichino per il mio aspetto – condiziona nelle bulimiche in modo determinante il livello di autostima.
Analogo indizio sull’importanza dei fattori culturali può essere attribuito al fatto che l’inserimento della bulimia tra i disturbi mentali è recente. Il DSM III del 1980 è, infatti, il primo manuale di psichiatria ad includere la categoria della Bulimia Nervosa. In precedenza, alterazioni dell’appetito, in eccesso come in difetto, erano considerate per lo più come sintomi all’interno dei disturbi dell’umore o di altri disturbi.
Inoltre solo in Occidente la bulimia, come l’anoressia, ha una grande diffusione, rappresenta un problema sociale e ha dato origine a strutture e a trattamenti specifici.
Devi sapere che descrizioni di abitudini alimentari sovrapponibili alla bulimia sono presenti nella letteratura non psichiatrica addirittura da millenni. È ben noto che nei banchetti della Roma imperiale i commensali ingerivano grandi quantità di cibo, che poi vomitavano per poter continuare a mangiare.
La differenza, peraltro sostanziale, con la bulimia risiede nella modalità con cui questi comportamenti sono vissuti da chi li agisce e dal contesto sociale.
Chi si abbuffava nei banchetti luculliani della Roma imperiale non si appartava vergognandosene, perché quella condotta era una consuetudine conviviale socialmente approvata, quindi praticabile e praticata in pubblico. Anche il cattolicissimo re di Spagna, nonché Sacro Romano Imperatore, Carlo V d’Asburgo, sul cui impero come saprai non tramontava mai il sole, era solito indulgere a pasti pantagruelici ingurgitando il cibo senza nemmeno masticarlo, a dispetto del fatto che il peccato di gola fosse considerato dalla Chiesa Romana uno dei vizi capitali.
La bulimia può essere ed è stata considerata prima un’attività conviviale socialmente approvata, poi un vizio e un peccato da menzionare in confessionale, per approdare solo dal 1980 in poi nel gruppo formato non da molto dei Disturbi del Comportamento Alimentare.
1. Le cause psicologiche: la famiglia gioca un ruolo importante
La cultura è certamente importante in questo disturbo. Tuttavia le cause psicologiche e familiari sono determinanti.
Tutte le ragazze e le giovani donne occidentali vivono in un contesto culturale dove l’aspetto fisico e la magrezza sono valorizzate, molte controllano l’alimentazione anche attraverso diete e attività fisica per mantenere un peso desiderabile e un aspetto piacevole. Solo una minoranza diventa bulimica.
Come le anoressiche, le pazienti bulimiche vivono in famiglie dove secondo Ugazio (1998, 2012, 2018) prevale la semantica del potere.
Si tratta di famiglie in cui ci sono vincenti, intesi come membri della famiglia che, grazie alla loro determinazione e al loro impegno, hanno successo economico e professionale, mentre altri sono perdenti: la loro incapacità di farsi valere e incostanza li consegna alla sconfitta. In queste famiglie “il confronto con i criteri di riuscita e i conflitti competitivi che ne conseguono, guida sia le relazioni interne al nucleo, sia quelle con la parentela “(Ugazio, 2012). Conseguentemente “la lotta per la definizione della relazione è argomento costante della conversazione in queste famiglie. L’oggetto del contendere, i «contenuti» del conflitto sono di regola irrilevanti, mentre chi abbia la supremazia (oneupmanship) è ciò che conta”(ibidem).
Anche la bulimica, soprattutto a peso ideale, prima dell’esordio sintomatico, spesso si colloca, come la futura anoressica, o aspira a collocarsi nel polo vincente. Tuttavia il positioning delle bulimiche che precede l’esordio sintomatico è molto più vario di quello delle anoressiche.
Per le bulimiche il genitore preferito, che solitamente le disillude, è il padre, spesso in posizione vincente. La madre in queste famiglie è per lo più in posizione di inferiorità rispetto al marito. E’ questa una differenza importante con le anoressiche per le quali il legame più importante è di regola la madre o altra figura accudente che occupa una posizione di rilievo in famiglia ed è determinata.
Questa configurazione relazionale dove il padre è in posizione dominante o comunque superiore rispetto alla madre sembra caratteristica soprattutto le famiglie delle bulimiche che mantengono un peso ideale.
“Tentando di mantenere il corpo in un’eterna adolescenza, le bulimiche a peso ideale, respingono l‘identificazione con la madre: loro non si lasciano andare come la loro madre, non si rassegnano di fronte alle prevaricazioni, non cedono alla propria passività, ma lottano strenuamente contro la propria debolezza e arrendevolezza” (Ugazio, 2012).
2. Bulimia e depressione: c’è un nesso tra le due?
Diverse ricerche evidenziano questo nesso. Il fatto che non raramente i casi di morte nelle pazienti bulimiche siano dovuti a suicidi sembrerebbe suggerire una connessione fra bulimia e disturbi depressivi e dell’umore.
Un’associazione forse non meno frequente è con il Disturbo Borderline di Personalità.
Infine, l’abuso di sostanze si accompagna non raramente alla Bulimia Nervosa.
Il senso di sconfitta che accompagna le «abbuffate» e la conseguente svalutazione di sé sono alla base dei vissuti depressivi o ne sono un’espressione.
Bulimia: quali sono le conseguenze?
Le conseguenze della bulimia possono essere diverse e a volte, se non curate, possono diventare anche tragiche.
1. A quali rischi e danni può portare?
I danni alla salute sono legati soprattutto alla pratica del vomito autoindotto. Qualora sia frequente e prolungata nel tempo può provocare pericolosi squilibri metabolici e elettrolitici. E’ quindi necessario il monitoraggio delle condizioni mediche, per la possibile presenza di complicanze.
2. Può portare anche alla morte?
Il rischio di mortalità connesso al disturbo non è paragonabile a quello dell’anoressia nervosa, mentre rischio di suicidio è presente in misura tutt’altro che trascurabile.
3. Storie di bulimia
Le storie cliniche delle ragazze bulimiche possono essere assai diverse.
3.1. Il caso di Lucia
Lucia, una graziosa ragazza di 17 anni, era in tutto e per tutto simile alle sue coetanee, anche per l’attenzione dedicata all’aspetto esteriore e alla linea.
Questa particolarità passava inosservata in una famiglia dove la madre era da sempre ossessionata dal timore di ingrassare e di tutto ciò che poteva minacciare la sua bellezza, che riteneva leggendaria. Sin da bambina, Anna l’aveva vista di tanto in tanto intenta a procurarsi il vomito dopo un pasto troppo abbondante, tanto da considerare normale questa pratica. D’altra parte, anche il marito mostrava di ritenerla ovvia in quanto non la menzionava come problema. Di fatto, la figura della madre, centrale in famiglia, eclissava ogni problema degli altri membri, uniti in una tacita collusione nel mostrarsi ciechi di fronte alle manifestazioni della personalità profondamente disturbata della moglie e madre.
Ciò che fece sì che qualcuno notasse qualche problema in Anna fu la frequenza, diventata via via regolare, con cui si ritirava nel bagno subito dopo aver mangiato. Nessuno ritenne però fosse necessario consultare uno specialista. Il medico, amico di famiglia, seguì Anna con consigli e raccomandazioni, limitandosi a monitorare di tanto in tanto la situazione dal punto di vista internistico.
Alcuni anni dopo, quando ormai il disturbo di Anna si era ridimensionato nella forma di una alimentazione disordinata, una consultazione psichiatrica fu sollecitata per i sempre meno occultabili problemi della madre. In tale occasione, emerse quasi casualmente il non breve periodo in cui Anna aveva sofferto di sintomi bulimici, nonché lo stato di sofferenza psicologica che aveva sempre dissimulato dietro una facciata di normalità solo apparente, come il benessere fisico che il suo aspetto esteriore suggeriva.
Una volta lontana da casa per frequentare l’università, poté finalmente consultare uno psicoterapeuta per affrontare le proprie difficoltà, tra le quali il timore di ricadere nella bulimia come la madre occupava un ruolo non marginale.
3.2. Il caso di Erica
Non raramente, le candidate alla bulimia hanno subito esperienze di abuso sessuale all’interno della famiglia.
Il padre di Erica, un noto industriale, era anche un buon fotografo dilettante. Divenuta preadolescente, Erica divenne per un periodo la modella preferita del padre, il quale cercava di emulare un famoso fotografo di giovani fanciulle in fiore. Amava abbigliare la figlia in modo sottilmente ambiguo per fotografala in atteggiamenti allusivi ed erotizzati ma mai impudichi.
Pur non essendo mai stata oggetto di approcci espliciti o diretti da parte del padre Erica, divenuta bulimica verso i 17 anni, ricordava in psicoterapia con grande turbamento queste sedute fotografiche. Non riusciva ancora, a distanza di anni, a capire se l’atmosfera erotizzata che avvertiva e la turbava fosse frutto di fantasie incestuose proprie o del padre. In ogni modo, il significato implicava la propria svalutazione: nel migliore dei casi, aveva rappresentato solo un oggetto su cui il padre si esercitava, senza minimamente considerare né notare il turbamento che provocava nella figlia.
Come guarire dalla bulimia? (come smettere)
La psicoterapia è sicuramente la scelta migliore data la priorità delle cause psicologiche ed anche più praticata. La possibilità di una risoluzione dei sintomi senza alcun tipo di trattamento specialistico è documentata. Tuttavia, il trattamento abbrevia i tempi e diminuisce la probabilità di esiti psicopatologici.
Nei casi di precoce insorgenza, il coinvolgimento della famiglia, va privilegiato.
Spesso è la paziente a chiedere un aiuto individuale successivamente, nel caso in cui i sintomi evolvano verso la cronicità, come nel caso in cui, siano risoltosi spontaneamente lasciando dietro di sé un disagio più o meno profondo, non necessariamente inquadrabile entro una categoria diagnostica.Contattaci per un consulto o una psicoterapia